giovedì 4 giugno 2020

La Camosciara




   La Camosciara è la nota catena montuosa, ricadente nel territorio di Civitella Alfedena-Aq, irta di picchi e creste poco accessibili, che costituiscono il regno dei camosci d’Abruzzo.

     Nel dialetto del paesino di Opi-Aq, non lontano da essa, l’oronimo suona Lë Camësciarë al plurale[1], come se il nome volesse indicare collettivamente quei monti, picchi, dirupi e creste, diversamente dal nome semi-italianizzato Camosciara, il quale indicherebbe chiaramente ‘il luogo dove vivono i camosci’.

     Nelle mappe medievali il luogo era noto come Zappën-éta, inteso dagli studiosi locali come ‘(luogo) con presenza di abeti’, dal lat. sap(p)in-u(m) ‘abete’ con il suffisso di valore colletivo –etu(m) diventato in italiano anche femminile eta.

     E’ senz’altro strano che un luogo irto di picchi e dirupi, abitato inoltre dai caratteristici camosci, venga identificato dai parlanti come ‘luogo degli abeti’, piante credo abbastanza comuni anche nelle zone viciniori.   Ci deve essere qualche fraintendimento.  E in effetti, ora che ho avuto l’occasione di riflettere  per qualche giorno sulla parola Zappën-éta, sono arrivato alla conclusione che essa in realtà non indicasse, all’origine, gli abeti della zona ma i camosci stessi o, se vogliamo, i caprioli, termine più antico almeno nel dialetto del mio paese, Aielli-Aq, dove camoscë ‘camoscio’ ha un’aria di importazione più o meno recente. E come è possibile una simile interpretazione? Gli è che almeno nella Marsica fucense, ma anche altrove in Abruzzo ed oltre, si incontra la voce zappë ‘caprone, becco’ (più raro sappë ‘caprone, becco’) che pare di ascendenza balcanica.  La forma diminutiva zapp-inë dovrebbe significare ‘capretto, capriolo’: allora Zappën-éta emerge in tutta l sua chiarezza come ‘(luogo) dei caprioli o camosci’.  Abbiamo visto che il suffisso –eta, -eto ha valore collettivo, generalmente riferito a piante come it. pineta, frutteto, querceto ma anche ad altro come ghiaieto, sasseto, ecc. Anzi, è proprio questo riferimento a ghiaia, pietre e sassi che mi suggerisce che, molto probabilmente, nella notte dei tempi (quando? tremila, diecimila, trentamila anni fa?) l’oronimo fosse nato come tale, cioè che indicasse proprio il ‘monte’ o la serie di vette e guglie di cui questa catena è costituita e che solo successivamente (quando?), allorchè arrivò nel lessico dei paesi della zona la voce zappë ‘caprone’, zappìnë ‘capretto, capriolo’ l’oronimo assunse naturalmente il significato di ‘(luogo) dei caprioli o camosci’.

     Nel mio paese, infatti, esiste un dosso montano, roccioso e spoglio di vegetazione, chiamato La Savina (sulle carte ufficiali credo sia indicato come Monte Savina). Mi sono sempre chiesto, da quando ero già un adolescente, come mai questo oronimo assomigliasse tanto al coronimo Sabina, terra abitata dai Sabini, che tanta influenza ebbero sulla Roma primitiva.  Mai potei darmi una risposta, la quale è arrivata proprio in questi giorni.  Dato il ricorrere del toponimo Savina ad Aielli e Zappen-éta a Civitella Alfedena (e forse altrove), probabilmente, mi son detto, i Sabini erano per i Romani ‘quelli che abitavano sui monti (dell’Appennino centrale)’ in contrapposizione agli abitanti nella vasta pianura laziale.  La Sabina si può dire che arrivava fino alle porte di Roma, se Mandela, vicino Tivoli, e Tivoli stessa erano già in territorio sabino, ai tempi del poeta Orazio (I sec. a. C.).  Azzardo l’ipotesi che questo oronimo abbia qualcosa da condividere con quelli tipo Monte Spino o Colle Spino, oltre che con Punta Savina (m.2821) nelle Alpi Marittime, Cuneo.  Ora,in effetti, qualsiasi monte possiede una punta, un apice, ma non solo: l’idea stessa di “monte” rientra, a mio avviso, in quella di “protuberanza, punta, apice”, data la genericità di fondo di ogni significato particolare. 

   Una volta scomparso l’oronimo Zappën-éta anche a causa, credo, della intervenuta oscurità del suo significato, prima legato ai picchi dei monti, poi  ai caprioli, e infine agli abeti, improvvisamente? è spuntato il nuovo nome di Camosciara, cioè precisamente, secondo il nome locale al plurale di cui sopra, Lë Camësciarë, il quale, francamente, non parrebbe alludere al termine f. sing. ‘luogo dei camosci’ ma, probabilmente, proprio alla natura del rilievo montuoso, composto da più alture, picchi e guglie. Nel Gran Sasso d’Italia, poi, esiste il Monte Camicia presumibilmente proveniente da una precedente forma *Camisia, simile al sardo Bruncu Camisa (Cima Camisa) presso Castiadas-Ca nella Sardegna sud-orientale, non molto lontano dal mare.  L’altura non raggiungerà i 4-5cento metri, ed è sicuro che gli zoccoli dei camosci non l’abbiano mai calpestata. La radice di questo toponimo dovrebbe essere quella di serbo-croato kamen ’pietra’ responsabile probabilmente anche di oronimi come Monte Camino nel biellese e Colle Camino in provincia di Latina .  
  Ora, mi pare pacifico che un oronimo come Lë Camësciarë, possibile ampliamento di un precedente *Camisia o *Camiscia, nel senso di ‘(luogo) di alture picchi e dirupi’ come ho detto sopra, possa essere vissuto per millenni in qualche paese della zona all’ombra dell’altro oronimo ufficiale Zappën-éta, più chiaro per i parlanti nel cui lessico ancora non era arrivato, forse, il termine camoscio (cfr. ant. a. tedesco gamiza ‘camoscio’, ted. moderno Gemse ‘camoscio’, fr. chamois ‘camoscio’, tardo lat. camox ‘camoscio’).  Quando quest’ultimo arrivò e l’altro era diventato opaco da diverso tempo, ecco che spuntò dalla sua esistenza nell’ombra il nuovo? oronimo Lë Camësciarë ma col suo acquisito nuovo significato di ‘luogo dei camosci’, non di ‘(luogo) di picchi, monti e dirupi’.  Questo è quanto. 
  


[1] Cfr. Davide Boccia, La toponomastica del Comune di Opi-Aq, Torino 2016.

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