Il modo di dire sembra essere stato
inventato l’altro ieri da qualcuno che si sia messo a riflettere sulla triste
condizione di chi è stato cornificato abbondantemente, escogitando l’icastica
immagine. Ma, come sempre avviene, esso è antichissimo e si è formato quasi
inconsapevolmente, piano piano, perché presuppone almeno la conoscenza di una
parola,*corno, usata per designare le lumache. Abbiamo visto
nell’articolo precedente sulla cantilena per la lumaca di Gallicchio-Pt che
questa voce corno si riferiva in
epoca lontana al noto gasteropode, col significato di ‘guscio, cavità’. E in
effetti ho scoperto proprio oggi la voce corgnolo
‘chiocciola’, usata in zone del Veneto[1], che
deriva dal lat. corn-eol(u)m, diminutivo
di lat. cornu ‘corno’: ma in questo
caso il termine si riferisce ad una cavità
e non alle corna dell’animaletto, come sostiene il Cortelazzo nel libro
citato. Questo conferma bellamente, ma non ce n’era bisogno, il mio
ragionamento, fatto in quell’articolo, relativo al termine in questione[2].
Nel dialetto di Venezia, inoltre, la voce gorna significa ‘canale per
l’acqua, grondaia’; sempre una ‘cavità’ dunque, come nel toponimo Le
Gurne dell’Alcantara, un
corso d’acqua di Francavilla di Sicilia-Me. Le gurne indicano esattamente le marmitte dei giganti, cavità rotondeggianti prodotte
dall’acqua che ha eroso la roccia
sottostante nel suo lentissimo ma continuo lavorio.
Per renderci conto meglio dei giochi ed incroci delle parole alla base
della Lingua, faccio notare che nel dialetto di Pizzo in Calabria gurna
vale ‘piccola polla d’acqua, e gurni-ale ‘grande polla d’acqua’: quindi il termine fa riferimento al
una fonte, sorgente e simile. Nel dialetto di Aiello Calabro, però, ritorna,
oltre al concetto dell’acqua, anche quello di cavità, perché lì gorna vale ‘gora’ o ‘buca piena d’acqua’.
Ciò succede perché questo termine che indicava una cavità si è spesso incrociato con un altro che indicava la fonte, la sorgente, ecc. e che corrisponde al gr. kroun-όs ‘fonte, sorgente’, variante di gr, krḗnē
‘fonte, sorgente’, dorico krána ‘fonte, sorgente’. Da questa
forma dorica faccio derivare, come ho indicato in altro articolo, la fonte Ranë di
Celano, dove si è verificato la normale caduta della gutturale iniziale
incrociatasi con quella di (g)-rano,
ranë in dialetto.
Mi
pare che le corna, nel senso di
cornificazione, possano farsi risalire, con qualche concreta possibilità di
successo, al concetto di ‘giro, raggiro, inganno’ che la radice poteva
esprimere. Già in greco circolava l’espressione kérata poi-eῖn ‘mettere le corna(kérata)’ Anche il detto avere più corna che capelli forse deve la sua esistenza
all’incrocio tra il concetto di “corno” e quello di “capello”: sono entrambi delle
protuberanze, escrescenze. Tanto è vero che il inglese i capelli si dicono hair,
ted. Haare,
la cui radice mi pare così vicina a quella di corno e di gr. kára
‘testa, capo, vertice, punta’, gr. kér-as ‘corno’.
Ma
abbiamo perso di vista la cesta delle
lumache. Da quello che abbiaamo
detto risulta evidente l’equazione corno=cavità=cesta=lumaca,
equazione che naturalmente non si è attuata in un momento, ma col tempo. E la
lingua ne ha veramente avuto di tempo!
[1] Cfr.
Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani,
UTET Torino, 1998.
[2] Oggi 28
maggio, ad una settimana dalla stesura di questo articolo, ho avuto la conferma
del valore di ‘cavità’ della parola corno
. Infatti in francese il termine corne
significa, oltre a ’corno’, anche ’piegatura, orecchio (di un foglio di
carta’. Ma, il significato più parlante è quello di fr. cornette ‘cuffia’, una cavità, dunque.
.
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