martedì 21 maggio 2019

Avere più corna di una cesta di lumache.




Il modo di dire sembra essere stato inventato l’altro ieri da qualcuno che si sia messo a riflettere sulla triste condizione di chi è stato cornificato abbondantemente, escogitando l’icastica immagine. Ma, come sempre avviene, esso è antichissimo e si è formato quasi inconsapevolmente, piano piano, perché presuppone almeno la conoscenza di una parola,*corno,  usata per designare le lumache. Abbiamo visto nell’articolo precedente sulla cantilena per la lumaca di Gallicchio-Pt che questa voce corno si riferiva in epoca lontana al noto gasteropode, col significato di ‘guscio, cavità’. E in effetti ho scoperto proprio oggi la voce corgnolo ‘chiocciola’, usata in zone del Veneto[1], che deriva dal lat. corn-eol(u)m, diminutivo di lat. cornu ‘corno’: ma in questo caso il termine si riferisce ad una cavità  e non alle corna dell’animaletto, come sostiene il Cortelazzo nel libro citato. Questo conferma bellamente, ma non ce n’era bisogno, il mio ragionamento, fatto in quell’articolo, relativo al termine in questione[2]

   Nel dialetto di Venezia, inoltre, la voce gorna  significa ‘canale per l’acqua, grondaia’; sempre una ‘cavità’ dunque, come nel toponimo Le Gurne dell’Alcantara, un corso d’acqua di Francavilla di Sicilia-Me. Le gurne indicano esattamente le marmitte dei giganti, cavità rotondeggianti prodotte dall’acqua che ha eroso  la roccia sottostante nel suo lentissimo ma continuo lavorio.

    Per renderci conto meglio dei giochi ed incroci delle parole alla base della Lingua, faccio notare che nel dialetto di Pizzo in Calabria gurna vale ‘piccola polla d’acqua, e gurni-ale ‘grande polla d’acqua’: quindi il termine fa riferimento al una fonte, sorgente e simile. Nel dialetto di Aiello Calabro, però, ritorna, oltre al concetto dell’acqua, anche quello di cavità, perché lì gorna vale ‘gora’ o ‘buca piena d’acqua’. Ciò succede perché questo termine che indicava una cavità si è spesso incrociato con un altro che indicava la fonte, la sorgente, ecc. e che corrisponde al gr. kroun-όs ‘fonte, sorgente’, variante di gr, krḗnē ‘fonte, sorgente’, dorico krána ‘fonte, sorgente’. Da questa forma dorica faccio derivare, come ho indicato in altro articolo, la fonte Ranë di Celano, dove si è verificato la normale caduta della gutturale iniziale incrociatasi con quella di  (g)-rano, ranë in dialetto. 

  Mi pare che le corna, nel senso di cornificazione, possano farsi risalire, con qualche concreta possibilità di successo, al concetto di ‘giro, raggiro, inganno’ che la radice poteva esprimere. Già in greco circolava l’espressione kérata poi-eῖn ‘mettere le corna(kérata)’  Anche il detto avere più corna che capelli forse deve la sua esistenza all’incrocio tra il concetto di “corno” e quello di “capello”: sono entrambi delle protuberanze, escrescenze. Tanto è vero che il inglese i capelli si dicono hair, ted. Haare, la cui radice mi pare così vicina a quella di corno e di gr. kára ‘testa, capo, vertice, punta’, gr. r-as ‘corno’.

    Ma abbiamo perso di vista la cesta delle lumache.  Da quello che abbiaamo detto risulta evidente l’equazione corno=cavità=cesta=lumaca, equazione che naturalmente non si è attuata in un momento, ma col tempo. E la lingua ne ha veramente avuto di tempo!







[1] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET Torino, 1998.

[2] Oggi 28 maggio, ad una settimana dalla stesura di questo articolo, ho avuto la conferma del valore di ‘cavità’ della parola corno . Infatti in francese il termine corne significa, oltre a ’corno’,  anche ’piegatura, orecchio  (di un foglio di carta’.  Ma, il significato più parlante è quello di fr. cornette ‘cuffia’, una cavità, dunque.



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