E cosi siamo giunti alla nostra
cantilena per la chiocciola. In verità non so se qualcuno la conosca ancora,
dato che io stesso la imparai da un altro ragazzo, ma poi non la sentii
recitare più da nessun altro. Essa suona così: Iscë ciammarùca,/ iscë dalla bùscia,/ ca màmmëta s’è morta i pa(t)rëtë s’è mbëccàte/ allë forchë sandë Dunàtë (Esci lumaca, esci dalla buca,/ perchè tua
madre è morta e tuo padre s’è impiccato/ alle forche di san Donato). Non si scherza mica, vi si parla di morte
della madre e di impiccagione del
padre! Ma naturalmente, come abbiamo
visto nelle altre cantilene, si tratta di quelli che definirei effetti sonori causati dal solito incrociarsi
dei termini nel corso dei millenni. Come in ogni filastrocca, si nota la
presenza della rima o assonanza. La voce
bùscia è lo sviluppo di un precedente
latino medievale bucea ‘scorza’ ma che, a mio parere, è in connessione con buca, in quanto cavità, avvolgimento. La
ricerca della rima non deve far pensare che vi sia una volontà marcata del
dicitore e quindi una possibilità di invenzione dei termini, i quali, se li si
gratta, ci si accorge che riguardano i concetti fondamentali nella filastrocca.
La bùscia ‘buca’ in genere non manca mai,
anche se espressa con vocabolo diverso (a proposito! sarebbe interessantissimo
raccogliere le filastrocche e cantilene dei vari paesi d’Abruzzo o almeno della
Marsica che quasi tutti, credo, non ne
saranno sprovvisti, prima che la modernità ne spazzi via gli ultimi avanzi),
dato che essa fa riferimento al guscio del gasteropode. Ritorna anche la presenza della mamma del cui valore di copertura, guscio abbiamo già parlato nel commento della cantilena del paese
di Gallicchio in Lucania. Ma vi compare
anche il padre, e non per fare un
torto al genitore (che poveretto si impicca!), ma perché, mio avviso, esso nasconde la radice di sscr. patram ‘secchio’, lat. patĕr-a(m) ’patera’, cioè una tazza o coppa. La mamma si dice che
sia morta, ma in realtà il termine
nascondeva una radice per ‘cavità, recipiente’, come in lat. mort-ariu(m) ‘mortaio’ la cui radice è
considerata piuttosto incerta. Ma l’it. mort-asa ‘incavo (per incastro)’ dal fr. mort-aise dovrebbe indirizzare verso un
significato di ‘cavità’ della radice in questi casi.
L’ impiccato credo sia reinterpretazione di
una voce precedente che faceva capo al ted. ein-bieg-en ‘piegare in dentro,
svoltare’, ted. ein-bieg-ung ‘curvatura in dentro, concavità’, radice che andrebbe
a fagiolo per indicare il guscio
della lumaca con le sue volute. Molti
sono i termini sia germanici che anche italiani o dialettali i quali
presuppongono tale radice Cito solo la voce dialettale ammëccàtë ‘ricurvo, inclinato’
della parlata di Chiauci-Is, che fa il paio col verbo abruzz, ammuccà ‘versare un liquido’ ma anche
‘curvarsi, cadere, tramontare’. Queste
voci presuppongono, come ammëlòppë
‘busta’ o ammastì ‘imbastire’ o ammàttë ‘imbattersi’, ecc., un *imbuccà da riportare, forse anche con il
lat.
bucc-a(m) ‘bocca’, ad una radice simile o uguale a quella tedesca di bieg-en (passato bog) e ein-bieg-ung ‘concavità, curvatura in
dentro’. L’impiccato sarà stato dunque un sostantivo simile al ted. Bucht che significa ‘sinuosità,
curvatura’ e, geograficamente, ‘baia, seno di mare’, corrispondente, a mio
parere, al nome di Cala Bucùto, piccola
insenatura in provincia di Trapani. Del
resto la presenza della voce buca>bùscia conferma,a mio parere, che
l’interpretazione di m-bëcc-atë deve andare in quella direzione. Il concetto di “cavità “ continua con
l’accenno alle forche: il termine forca
geograficamente si riferisce a passi montani,
in genere stretti o avvallati e magari con profilo a V, come le Forche Caudine dell’antichità. Ma non si
trascuri il suo riferirsi in questo contesto anche alle due corna o antenne della lumaca (cfr. lat. furc-as ‘chele del gambero’). Mi
pare oltremodo esemplificativo il nome
della Grotta della Tana, nota anche
come Furchio di la Zappa, in
provincia di Lecce. La voce furchië nel mio dialetto di Aielli
indica la distanza tra il pollice e l’indice aperti, che formano quindi una
specie di forca. Ma nel toponimo la parola deve indicare la cavità della grotta, come nell’abruzz. forchjë ‘caprile, stalla
per capre’, nel pugliese,calabrese, lucano forchia
‘buco, tana della volpe’[1].
Anche
la Zappa sta per cavità, e ci si può convincere se pensiamo allo sp. zapa ‘galleria sotterranea’, ingl. sap ‘trincea d’approccio’. Credo che anche la parola seppia, relativa al noto pesce, tragga la sua origine da un
significato di ‘cavità’, costituita più che dalla conchiglia interna (osso di
seppia) dal mantello che avvolge il
suo corpo come un sacco da cui fuoriesce la testa con i tentacoli. In inglese
il cefalopode viene chiamato cuttle o cuttle-fish in cui cuttle richiama
termini dell’area germanica dal significato di ‘tasca, cuscino, guscio, scroto’.
Resta da spiegare il sandë Dunatë . Senza
dilungarmi troppo e lasciando la testa piena di dubbi, sostengo che la prima
parola richiama la radice dell’ingl. sound
‘canale, stretto, vescica natatoria’, ted. Sund
‘stretto di mare’. La parola Dunatë deve essere una variante di ingl.
tunn-el ‘galleria’, fr. tonne, tonneau ‘botte’, medio irlandese tonne ‘pelle’. Originariamente
nella cantilena forse era presente una forma tonale diventata inevitabilmente Donato, per etimologia popolare, data la
presenza del termine santo. Quest’ultima
parte lascia un po’ a desiderare ma per l’interpretazione della precedente metterei la mano sul fuoco.
Ma
debbo ricredermi. In quel di Gaggio-Ve.
si recita questa cantilena alla lumaca: Toni,
Toni/tira fora i corni/ che to pare xè
in preson par un gran de formenton (Antonio, Antonio/caccia fuori i
corni/che tuo padre è in prigione, per un granello di mais)[2]. E’ a mio parere evidente che il nome Toni (Antonio), con cui è chiamata la
lumaca, non è un appellativo scherzoso per il gasteropode, il quale viene
invece indicato direttamente: esso costituisce la prima parte del Don-ato di cui sopra. La seconda parte
potrebbe essere anche una radice simile a quella del lat. aed-es ‘casa, tempio’ di cui non condivido la solita etimologia che fa
riferimento al gr. aíth-ein ‘ardere’.
Già
che ci sono faccio notare che il granello
di formenton è stato suggerito, nella cantilena, dalla voce precedente corni in quanto il ted. Korn
significa ‘grano’, corrispondente ad ingl. corn
‘grano’ ma anche (in americano) ‘frumentone, granoturco’, come nella
filastrocca. La nozione di prigione (
che è quella di prendere, afferrare) deve essersi sviluppata da
quella espressa dal verbo ngurnà
usato nella cantilena di Gallicchio-Pt, che, come abbiamo visto doveva valere,
in quel contesto, ‘avvolgere, coprire’, ma poteva aver sviluppato anche quello
di ‘legare, ammanettare, arrestare’.
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