Che i tratti dei racconti
agiografici dei Santi, sia di quelli vissuti realmente che di quelli mai
esistiti, si siano originati nel modo indicato nell’articolo precedente sul dente molare e il ferro della mula di
san Domenico, e cioè a partire anche dalla preistoria con il continuo apporto
nel corso dei secoli di parole assonanti con quelle del nucleo originario del
racconto (ma con significati diversi), è dimostrato anche dal fatto che alcuni
di questi tratti si ritrovano spesso nella tradizione mitica di Santi diversi, tradizione
in cui essi si sono inseriti il più delle volte –credo- naturalmente, senza
forzature e invenzioni di sorta da parte di chi li racconta, provenendo da un
armamentario di leggende in possesso già da molto tempo della comunità dove
essi sembrano ad un certo momento affiorare magari adattati, per quel
meccanismo dell’assonanza, a questo o quel personaggio, reale o mitico.
San Domenico di Foligno, infatti, mentre si trovava a Trisulti presso
Collepardo-Fr, avrebbe compiuto un miracolo molto simile, nella sostanza, ad uno
di quelli compiuti da san Francesco di Paola in Calabria. Erano già diversi anni che san Domenico se
ne stava a Trisulti, quando un angelo gli consigliò di iniziare la costruzione
di un monastero. Egli si mise subito all’opera e un giorno in cui molti operai
erano al lavoro, un grosso macigno, mosso dal diavolo, si staccò dal monte
sovrastante e iniziò a rotolare in direzione del cantiere. San Domenico fece il segno della croce, e il
masso improvvisamente si fermo’,
rimanendo conficcato e fisso sul terreno, come se si fosse
trovato lì da sempre, a poca distanza dal cantiere.
Ora, anche di san Francesco di
Paola, vissuto circa mezzo millennio
dopo, si racconta del miracolo chiamato del macigno pendulo il quale stava lì lì per cadere su degli operai ma
fu bloccato dal Santo. Ridotto all’osso è
lo stesso miracolo di san Domenico, anche se mancante di tutte le precisazioni
di quest’ultimo. Nel caso di san
Francesco non saprei indicare gli agganci linguistici che hanno messo in moto
il racconto, che forse potrebbero spuntare se conoscessi bene tutta la sua
agiografia.
Per il racconto relativo a san Domenico queste sono le osservazioni che
posso fare: innanzi tutto il diavolo che smuove il macigno doveva
essere, nel lontano passato, altro termine per ‘macigno’, come ci si può
convincere se si ha la pazienza di leggere l’articolo “Il paese di Gioia dei Marsi. Il suo vero etimo. Il diavolo ci ha messo
la coda“ presente nel mio blog (5-8- 2012).
Il termine macigno deriva da macina (del mulino), altrimenti detta mola, con cui il nostro Santo ebbe molto
a che fare, come ho ben chiarito nell’articolo di alcuni giorni fa “Il dente molare e il ferro della mula di san
Domenico” (v. blog). Il
macigno rotolante si fermò improvvisamente come improvvisamente si
fermò, alla voce del Santo che gli intimava di tornare indietro, il
lupo che correva alla sua tana portando in bocca un bambino, sottratto alla
povera mamma che si disperava. Miracolo
che sarebbe avvenuto nelle vicinanze di Cocullo, benché a Cocullo, caso strano,
non se ne faccia alcuna menzione, e che può essere inteso anche come effetto della funzione, attribuita al Santo, di dom-are le bestie selvatiche, serpenti,vipere, cani rabbiosi, ecc.
Ci sono ancora altre osservazioni da fare. Nel primo articolo sul Santo
di alcuni giorni fa, intitolato “La bella
festa dei serpari di Cocullo” (v. blog), avevo accennato alla radice dei
verbi dom-are, dom-in-are, assonante con quella
del nome Dom-en-ico, in
riferimento alla funzione di “domatore” o “dominatore” di serpenti esplicata
dal Santo, e avevo anche fatto notare che questo significante dem- dom-
si presenta fin dall’inizio della sua
storia, nei toponimi di Petra Dem-one e Dom-us indicanti dei luoghi presso Scandriglia in Sabina dove il Santo
aveva fondato eremi o monasteri. Ed essa
era ben adatta a diffondere la fama che egli fosse un costruttore (anche nell’eventualità che egli costruisse veramente —questo non lo so— i molti monasteri che gli si attribuiscono),
dato il greco dém-ein ‘costruire,
fabbricare, edificare’, il lat. dom-u(m) ’casa’, il gr. dόm-os ‘casa’ ma anche ‘strato di pietre
o mattoni, parete’ o anche ‘arca, cassa’.
Ora, non ricordo più in quale articolo, facevo notare che l’idea di muro, struttura era strettamente
connessa con quella di unire, legare, connettere in riferimento alle varie parti che compongono una
qualsiasi struttura, appunto. In questi giorni ho scoperto che anche il
dizionario etimologico online di Ottorino Pianigiani, magistrato-linguista dell’Ottocento,
sottolinea il fatto che la radice di duomo, domare, dominare, domino
è da riportare ad una radice dem-
diffusamente rappresentata nell’area indoeuropea, ampliamento di una radice da-
‘legare’. Essa è rappresentata anche dal gr. dam-áz-ein ‘domare’ e dall’antico irl. damnaim ‘io attacco, lego,
fisso, blocco, domo, soggiogo’: ecco perché il macigno rotolante, dopo il segno
di croce di san Domen-ico, si conficca e fissa sul terreno! Anche il Pianigiani sostiene che l’edificare non è altro che un compaginare,
collegare insieme i materiali di costruzione. Il gr. dám-ar ‘moglie, consorte’ non deriva secondo
me il suo significato dall’idea di casa,
come sostengono i vocabolari greci, né dall’idea di domare, ma proprio da
quella di ‘unire, legare’ in quanto unita al
marito. Anche quest’ultimo termine mar-ito, come ho mostrato in altro articolo[1], indica
chi è unito, legato alla moglie e non ha a che fare col termine di disturbo
lat. mas, maris ‘maschio’, come la con-sorte e il con-sorte non sono tali perché
condividono la stessa sorte, ma perché semplicemente sono intrecciati, uniti
tra loro.
Non dimentichiamo il dettaglio secondo cui san Domenico aveva legata la mula ad un albero presso
il mulino dove ci fu il miracolo della moltiplicazione della farina. Ma perché
nel racconto di questo episodio si doveva aggiungere questo particolare in fondo non
necessario? La mia risposta è questa: la
radice dem, dom si era incrociata già in antico
con quella di una figura mitica non meglio identificabile, assorbita successivamente
da san Domenico, la quale non poteva non legare
qualcosa, come doveva dire il nome stesso nella parlata in cui avvenne
l’incrocio.
Ora credo sia arrivato il momento di fermarmi per un bel po’ di giorni e
uscire a divagarmi in campagna sperando di non incontrare serpenti da cui
difendermi. Ma, con l’abbandono dei campi, oggi ce ne sono pochi.
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