sabato 11 maggio 2019

La fantastica locuzione aiellese "du i donna".

Ripubblico la prima parte di un articolo già pubblicato nel 2014, perchè vi ho apportato notevoli aggiunte, e perchè le considerzioni che vi faccio mi sembrano  da manuale,  segnando esse chiaramente la linea di demarcazione tra la mia linguistica e quella degli altri. 



Seguendo la scia del mio articolo Nella Marsica, ma anche altrove [] sulla presenza dei Greci nella nostra terra marsicana e altrove in tempi antichissimi (cfr. pietro maccallini.blogspot.it, giugno 2014), mi sono messo a ricercare altri eventuali termini che ne consolidassero la validità.  E così mi sono ricordato della espressione che mio padre usava riferendosi a qualcuno che avesse un comportamento ambiguo, instabile, fasullo e di cui, quindi, non ci si poteva fidare.  «E’ unë chë fa ddu’ i donna! (E’ uno che fa due e donna!)» era solito sentenziare con una scrollatina di capo. Grande è stata la mia sorpresa quando ho ritrovato l’espressione nel dialetto di Avezzano  con l’identico valore e nella forma univerbata dùeddònna ‘atteggiamento ambiguo, tenere il piede in due staffe’[1].  A quanto sembra l’espressione ha valore di sostantivo, probabilmente derivato dal neutro dell’aggettivo che subito indicherò. Debbo dire che è stato il due- iniziale a mettermi sulla strada giusta nella ricerca dell’etimo. Infatti il suo significato è alla base di aggettivi come doppio, duplice i quali assumono anche il valore di ‘falso, ambiguo’ come nel gr. doi ‘dubbio, incertezza’, da gr. doi-ós ‘doppio, duplice’.  Il problema a questo punto era quello di capire che cosa ci fosse sotto –donna, l’altra metà del termine, che non poteva essere  accettata nel suo squillante significato di superficie, cioè ‘donna’, benchè il pregiudizio, in passato imperante nei confronti del gentil sesso, avesse sviluppato, per questo termine, anche il significato collaterale di ‘inaffidabile, mentitrice’.  Ma il fiuto che ormai posseggo per queste cose, dopo anni di ricerche, mi spingeva a supporre che dietro –donna si dovesse nascondere una radice tautologica rispetto al due- iniziale, radice che fin dalle origini doveva contenere questo valore, che non poteva quindi essere, per così dire, di risulta, come quello derivante dal pregiudizio nei confronti della donna.

In un primo momento ho pensato al gr. dí-dym-os ‘gemello, doppio’, termine costituito dal raddoppiamento della radice di gr. dý-o ‘due’, lat. du-o ’due’, ecc. col secondo membro –dym- ampliato in /m/. Ma questa soluzione, benchè perfetta relativamente al significato di ‘doppio’, mi lasciava un po’ insoddisfatto perché mi sembrava improbabile che la forma -dym- potesse equivalere al lat. domin-a(m) ‘signora’ da cui deriva l’it. donna, attraverso la sequenza domina(m)>domina> domna> donna. E non tanto per il diverso vocalismo dei due termini latino e greco, quanto per la difficoltà di una derivazione dell’it. donna dalla  radice con la sola /m/ di gr. -dym-, senza il nesso /mn/ di lat. dom(i)na(m).  Il mio tentennamento, che aveva ben ragione di esistere, si è risolto felicemente quando ho scoperto che in greco c’era, effettivamente, anche la variante dí-dymn-os[2].  Questo fatto è molto istruttivo: esso ci ricorda anche, in verità, che moltissime saranno state, nel corso dei millenni, le varianti andate perdute per sempre, come foglie invecchiate che si staccano melanconicamente dagli alberi in autunno, ad ogni folata di vento, giacchè le lingue storiche proprio per questo non possono registrarle tutte, soprattutto quelle scomparse già in fase preistorica quando la scrittura era ancora di là da venire.  E ci conferma che le supposizioni, se fatte con sagacia e dottrina, sono in genere discretamente attendibili.

Vedremo subito che il lat. domin-u(m) ‘signore, padrone’ è legato a filo doppio con questo secondo membro di gr. dí-dymn-os ‘doppio, gemello’ il cui primo membro dí- deriva da una forma identica a quella del prefisso inglese twi- ‘due, doppio’.   In effetti il neutro dello stesso aggettivo, cioè gr. dí-dym-on, significa anche ‘consorte, moglie’, come risulta da iscrizione[3].  Di conseguenza la voce domennàcchie ‘coppia di oggetti’ del dialetto pugliese di Minervino[4], spiegata come derivante dall’espressione du më n’acchjë ‘due me ne trovo’ e riferita scherzosamente all’altra espressione du mennàcchjë ‘due mammelle’, a mio modo di vedere non ha bisogno di queste giravolte per essere chiarita, potendo essa derivare direttamente e semplicemente da vocabolo contenente la seconda parte del suddetto gr. dí-dymn-os ‘gemello’ col l’aggiunta del diffuso suffisso –acchië (dumen-àcchië).  Anche il nome del gioco detto domino credo possa derivare realisticamente da questa nozione di doppio, dato che le 28 tessere rettangolari di cui si fa uso, inizialmente di osso o d’avorio, hanno tutte la facciata divisa in due quadratini da una linea nera, ciascuno con un certo numero di puntini da zero fino a sei. I due quadratini possono anche essere ciascuno di due colori, il bianco e il nero. L’etimologia solita chiama in ballo il colore nero del rovescio delle tessere stesse coperte d’ebano o altro, colore che sarebbe quello della cappa nota come domino, in uso a carnevale in Francia ma anche in Italia.  Anche qui mi pare che ci si arrampichi sugli specchi, non avendo a disposizione una spiegazione più realistica. Inoltre, la nozione di due, doppio a mio avviso è solo una specializzazione di una più generica di connessione, unione, serie, concatenazione, legame, costruzione resa evidente dal gioco stesso del domino, giacché, man mano che esso procede, le tessere vengono messe l’una a fianco all’altra sul tavolo, a formarne una successione ininterrotta, una sorta di linea serpeggiante. Non è un caso che l’irl. dam significhi ‘seguito, corteo, schiera’.  Anche l’espressione effetto domino non è dovuta al fatto che esso possa verificarsi con le tessere del domino schierate l’una vicino all’altra e poggiate su uno dei lati più piccoli: facendone cadere una, tutte le altre, spinte dalla precedente, a catena ne seguono la stessa sorte; l’espressione prende nome proprio dal suo essere un effetto di reazione a catena, una successione continua dello stesso evento, e non genericamente riferita al gioco del domino. 

Anche il gioco della dama si può dire che sia  un tripudio del concetto di “doppio, serie, fila” proprio attraverso il disegno della scacchiera: una serie di file di caselle, alternativamente bianche e scure; le pedine sono ugualmente di due colori, perché quelle di ciascuno dei due  giocatori non si confondano con quelle dell’avversario. La pedina che raggiunge una casella dell’ultima fila diventa dama  e deve essere contrassegnata dalla sovrapposizione di due pedine.  Mi sembra abbastanza inessenziale l’etimo che rimanda al fr. dame (lat. domin-am ‘signora’) in riferimento al fatto che la pedina diventata dama sarebbe appunto la signora del gioco, ammessa (ma non concessa) l’origine francese dello stesso.  E ugualmente marginale è l’etimo che propone l’antico fr. dame ‘pietra, pezzo’.
    
Come si può vedere, gli etimi da me proposti  vanno direttamente al cuore del concetto da spiegare, mentre purtroppo i linguisti sono solitamente distratti da altri termini o altri significati che hanno solo una relazione esterna, marginale con la parola da spiegare.

Allora diventa sostenibile che il lat. domin-u(m) potesse significare inizialmente solo ‘coniuge, consorte, marito’ in quanto doppio, cioè uno dei due della coppia coniugale, come nel citato gr. dí-dym-on.  Siccome il significato di ‘doppio’,  in quanto risultato di una compagine può sviluppare a mio avviso anche il connesso significato di ‘forte, grosso, grande, potente, ricco, ecc.’, probabilmente si è avuto poi il significato di ‘padrone, signore (della casa)’ con la precisazione della casa  per effetto dell’influsso di lat. dom-u(m) ‘casa’, presente anche nel gr. dóm-os ‘casa’.  Ora, come abbiamo visto nei due articoli Il municipio [] e Il termine “armento”[…] presenti nel mio blog (cfr. mesi marzo-aprile 2014), il concetto di “muro, casa” generalmente rimanda a quello di “insieme di pietre[5] o tavole, struttura, legame, ecc.” e quindi è lo stesso che dà vita a quello di ”coppia” che  è sempre un insieme, anche se di soli due elementi.  Allora un termine come il gr. des-pót-es ‘padrone della casa, signore, ecc.’ fatto derivare da *dems-pot-es sarà anch’esso partito col semplice significato di ‘coniuge, marito’ in ambo i membri (cfr. gr. dám-ar ‘moglie’,lat. pot-is ‘potente, capace’, gr. pos-is ‘sposo, marito’).



[1] Cfr. U. Buzzelli - G. Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese, Avezzano-Aq 2002.  L’espressione dù e donna ‘doppio gioco’ compare anche nel dialetto di Borgorose-Ri: cfr. sito web www.prolocoborgorose.it/Tutto Paesi/Tutto Torano/home page torano.htm .

[2] Cfr. G. Gemoll, Vocabolario Greco-Italiano, Ediz.Sandron, Firenze, 1951.

[3] Cfr. L. Rocci, Vocabolario Greco Italiano, Soc.Editr. Dante Alighieri, 1990.

[4]   Cfr. M. Cortelazzo  C. Marcato I dialetti italiani, UTET,  Torino, 1998.

[5]  In greco dómos significa infatti anche ‘strato di pietre, parete’.
 a mia linguistica e quella di altri.

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