Il testo è il seguente: Ciammaiecchë a quattrë corna,/dimme, mammata addonna dorma./Dorma ‘m mezzë a la frattë,/ciammaiecchë a quattrë a quattrë. Ho sostituito solo gli apostrofi con il simbolo della
/e/ muta o vocale evanescente.Trad:
Lumaca a quattro corna, dimmi, tua madre dove dorme. Dorme in mezzo alla
fratta, lumaca a quattro a quattro. La fonte di questa filastrocca è l’AIS
(Atlante italo-svizzero compilato da studiosi elvetici intorno al 1915).
Ritornano naturalmente le corna
(che però sono quattro, come in altre filastrocche), la figura della mamma che dorme, come abbiamo abbondantemente visto
nell’articolo di qualche giorno fa. Qui essa dorme, con puntigliosa
precisazione, in mezzo ad una fratta! Per
il numero quattro rinvierei ad uno
dei significati della radice catr-,
‘pollone, punta’ dell’articolo Quatranë,voce
abruzzese irriducibile. Ma
vi è un’altra possibilità, che il quattro debba intendersi come derivante dal
lat. coact-u(m), part.passato del verbo cog-ĕre ‘raccogliere, conficcare,
costringere, ecc.’ e riferirsi alle corna tenute serrate dentro il guscio. Il verso finale ciammaiechĕ a quattrĕ a quattrĕ
potrebbe essere molto chiarificatore ed indicare la chiocciola per così dire acquattata nel suo guscio (pensiamo al
napoletano quattĕ ‘quattro’). C’è
una bella espressione italiana che, a mio avviso, chiarisce i diversi
significati che uno stesso termine presenta. Essa è : in quattro e quattr’otto.
Ne ho parlato non ricordo in quale articolo, e spesso la spiegavo ai miei
studenti. In verità l’espressione è completamente fasulla per quanto riguarda
il suo significato superficiale, la sua veste mostrata a tutti. Nessuno, o
pochi, si chiedono il perché della locuzione e il motivo per cui tra le diverse
operazioni possibili si sia scelto proprio quella. Il fatto è che, grattando
grattando, si scopre che dietro il quattro
(napoletano quattë ‘quattro’) si
nasconde l’avverbio lat. coacte che vale anche ‘alla svelta,
velocemente, in fretta’. Dietro l’otto
si nasconde, sornione, l’avverbio lat.
ociter ‘velocemente, rapidamente’. Naturalmente il trascolorare di ociter in otto presuppone (senza ricorrere all’etimologia popolare) la
pronuncia dura della /c/, come avveniva ancora in epoca classica per il latino.
Per capirci *okiter, in virtù
dell’accento iniziale vedeva oscurarsi le vocali successive diventando *okt(r) da cui l’otto. Quindi il detto proverbiale non è stato inventato l’altro
ieri, ma molto, molto tempo fa. Anche
qui c’entra la mentalità dell’uomo primitivo tutto dedito alle sue pratiche
magiche?
Resta l’esilarante espressione ‘m mezzë a la fratte ‘in mezzo alla
fratta: ma stava proprio comoda lì?. In
genere nei nostri dialetti ho potuto costatare che l’aggettivo mézzë proviene da un precedente mésë ‘mezzo’ come a Luco, Trasacco. A
Cerchio-Aq la forma arcaica è imperante. Ad Aielli-Aq, mi assicurava il compianto
Giuseppe Gualtieri, anticamente le due forme convivevano come si può del resto
arguire dal verbo smësà
‘dimezzare’. Quindi è presumibile che
l’espressione in questione suonasse anticamente ‘m mésë a la frattë. Io credo che la parola valesse in antico
‘cavità’ o simile, dato che in molti nostri paesi la voce mésa vale ‘madia’. Cfr. abruzzese mës-éllë [1]‘sacchetto
in cui si fa mangiare la profenda’ ma anche ‘madia’, ligure-piemontese musa
[2]‘natura
della donna e delle bovine’, dialetto di Trasacco-Aq. mόscia [3]‘natura
della donna’, fr. mus-ette ‘tascapane
dei soldati, tasca mangiatoia per cavalli’, it. mus-er-uola . E’ proprio vero che è vano pensare che le parole siano
state inventate per la funzione specifica che sembrano svolgere: la museruola
fa pensare al muso dell’animale, ma
questa è una semplice illusione ottica! Il mio fiuto di ricercatore mi dice che anche
nel gr. més(s)-aul-os
‘cortile, stanza, dimora’ la prima componente non aveva all’origine valore
d’aggettivo ma di sostantivo col significato di ‘cavità, cortile’. Incredibile, ma molto indicativo, è anche il
nome dello schiavo del porcaio Eumeo,
che porta il pane sulla mensa intorno a cui si trovano Ulisse, finalmente approdato
alla sua terra, e Eumeo (cfr. Odissea, XIV, 449). Ebbene il nome del servo è Mes-aúli-os , e sembra fatto apposta per
indicare, etimologicamente, l’addetto alla mesa
‘madia’, alla dispensa. Inoltre ho già potuto constatare ce in diverse
filastrocche compare l’aggettivo mise,
mese col valore di ‘mezzo’. Non fatemi perdere tempo a ritrovarle. E la fratta
che c’entra con la filastrocca di Crecchio? C’entra perché la fratta dal greco tardo
phráktē ‘fratta, siepe’ (non si creda all’etimo da lat. frang-ĕre ‘rompere’, rami rotti)
etimologicamente indica proprio il chiudere,
assiepare, avvolgere come fa il guscio della lumaca. Colophon.
Nei
libri antichi il colophon era la
sigla finale di un libro con indicazioni in genere sulla stampa. Io vorrei intenderlo come fine delle mie
ricerche, visto che non posso andare oltre nella conoscenza della natura della
Lingua. Dovrei trovare un altro campo
d’azione, perché tutto quello che potrò scoprire non sarà altro che una conferma dei principi che già conosco.
Ma il mio destino è vivere/ balenando in burrasca,
qualcuno ha detto.
Vincenzo Cardarelli
Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il
nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il
cibo.
E come forse anch'essi amo la
quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
1932
[2] Cfr.
Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani,
UTET, Torino, 1998.
[3] Cfr. Q.
Lucarelli, Biabbà F-P, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq. 2003.
Nessun commento:
Posta un commento