martedì 28 maggio 2019

Filastrocca sulla lumaca a Crecchio-CH



    Il testo è il seguente: Ciammaiecchë a quattrë corna,/dimme, mammata addonna dorma./Dorma ‘m mezzë a la frattë,/ciammaiecchë a quattrë a quattrë. Ho sostituito solo gli apostrofi con il simbolo della /e/ muta o vocale evanescente.Trad: Lumaca a quattro corna, dimmi, tua madre dove dorme. Dorme in mezzo alla fratta, lumaca a quattro a quattro. La fonte di questa filastrocca è l’AIS (Atlante italo-svizzero compilato da studiosi elvetici intorno al 1915).

    Ritornano naturalmente le corna (che però sono quattro, come in altre filastrocche), la figura della mamma che dorme,  come abbiamo abbondantemente visto nell’articolo di qualche giorno fa. Qui essa dorme, con puntigliosa precisazione, in mezzo ad una fratta! Per il numero quattro rinvierei ad uno dei significati della radice catr-, ‘pollone, punta’ dell’articolo Quatranë,voce abruzzese irriducibile. Ma vi è un’altra possibilità, che il quattro debba intendersi come derivante dal lat. coact-u(m), part.passato del verbo cog-ĕre ‘raccogliere, conficcare, costringere, ecc.’ e riferirsi alle corna tenute serrate dentro il guscio.  Il verso finale ciammaiechĕ a quattrĕ a quattrĕ potrebbe essere molto chiarificatore ed indicare la chiocciola per così dire acquattata nel suo guscio (pensiamo al napoletano quattĕ ‘quattro’).  C’è una bella espressione italiana che, a mio avviso, chiarisce i diversi significati che uno stesso termine presenta. Essa è : in quattro e quattr’otto. Ne ho parlato non ricordo in quale articolo, e spesso la spiegavo ai miei studenti. In verità l’espressione è completamente fasulla per quanto riguarda il suo significato superficiale, la sua veste mostrata a tutti. Nessuno, o pochi, si chiedono il perché della locuzione e il motivo per cui tra le diverse operazioni possibili si sia scelto proprio quella. Il fatto è che, grattando grattando, si scopre che dietro il quattro (napoletano quattë ‘quattro’) si nasconde l’avverbio lat. coacte che vale anche ‘alla svelta, velocemente, in fretta’. Dietro l’otto si nasconde, sornione, l’avverbio lat. ociter ‘velocemente, rapidamente’. Naturalmente il trascolorare di ociter in otto presuppone (senza ricorrere all’etimologia popolare) la pronuncia dura della /c/, come avveniva ancora in epoca classica per il latino. Per capirci *okiter, in virtù dell’accento iniziale vedeva oscurarsi le vocali successive diventando *okt(r) da cui l’otto. Quindi il detto proverbiale non è stato inventato l’altro ieri, ma molto, molto tempo fa. Anche qui c’entra la mentalità dell’uomo primitivo tutto dedito alle sue pratiche magiche?

   Resta l’esilarante espressione ‘m mezzë a la fratte ‘in mezzo alla fratta: ma stava proprio comoda lì?.  In genere nei nostri dialetti ho potuto costatare che l’aggettivo mézzë proviene da un precedente mésë ‘mezzo’ come a Luco, Trasacco. A Cerchio-Aq la forma arcaica è imperante. Ad Aielli-Aq, mi assicurava il compianto Giuseppe Gualtieri, anticamente le due forme convivevano come si può del resto arguire dal verbo smësà ‘dimezzare’.  Quindi è presumibile che l’espressione in questione suonasse anticamente ‘m mésë a la frattë.  Io credo che la parola valesse in antico ‘cavità’ o simile, dato che in molti nostri paesi la voce mésa vale ‘madia’. Cfr. abruzzese mës-éllë [1]‘sacchetto in cui si fa mangiare la profenda’ ma anche ‘madia’, ligure-piemontese musa [2]‘natura della donna e delle bovine’, dialetto di Trasacco-Aq. mόscia [3]‘natura della donna’, fr. mus-ette ‘tascapane dei soldati, tasca mangiatoia per cavalli’, it. mus-er-uola . E’ proprio vero che è vano pensare che le parole siano state inventate per la funzione specifica che sembrano svolgere: la museruola fa pensare al muso dell’animale, ma questa è una semplice illusione  ottica!  Il mio fiuto di ricercatore mi dice che anche nel gr. més(s)-aul-os ‘cortile, stanza, dimora’ la prima componente non aveva all’origine valore d’aggettivo ma di sostantivo col significato di ‘cavità, cortile’.  Incredibile, ma molto indicativo, è anche il nome dello schiavo del porcaio  Eumeo, che porta il pane sulla mensa intorno a cui si trovano Ulisse, finalmente approdato alla sua terra, e Eumeo (cfr. Odissea, XIV, 449). Ebbene il nome del servo è Mes-aúli-os , e sembra fatto apposta per indicare, etimologicamente, l’addetto alla mesa ‘madia’, alla dispensa. Inoltre ho già potuto constatare ce in diverse filastrocche compare l’aggettivo mise, mese col valore di ‘mezzo’.  Non fatemi perdere tempo a ritrovarle. E la fratta che c’entra con la filastrocca di Crecchio? C’entra perché la fratta dal greco tardo phráktē ‘fratta, siepe’ (non si creda all’etimo da lat. frang-ĕre ‘rompere’, rami rotti) etimologicamente indica proprio il chiudere, assiepare, avvolgere come fa il guscio della lumaca.  Colophon.

 Nei libri antichi il colophon era la sigla finale di un libro con indicazioni in genere sulla stampa.  Io vorrei intenderlo come fine delle mie ricerche, visto che non posso andare oltre nella conoscenza della natura della Lingua.  Dovrei trovare un altro campo d’azione, perché tutto quello che potrò scoprire non sarà altro che una conferma dei principi che già conosco.

Ma il mio destino è vivere/ balenando in burrasca, qualcuno ha detto.

Vincenzo Cardarelli

Gabbiani

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.

La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.

E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

1932



[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq.  2004

[2] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 1998.

[3] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà F-P, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq. 2003.

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