La chiocciola nel dialetto di Gallicchio-Pz ha il nome di càccia-còrnē (letter. caccia-corna) accanto all’altra voce marùchē ‘chiocciola’ diffusa anche altrove, secondo quanto abbiamo
visto nel post precedente. Come avviene spesso in questi casi, l’espressione
sembra inventata l’altro ieri per indicare la funzione specifica
dell’animaletto che solitamente caccia le sue antenne e magari subito le ritira
se avverte un pericolo. Ma così non
è.
Qui
ci deve essere stato l’incrocio di termini primordiali per ‘chiocciola’ con
altri indicanti il guscio entro cui
spesso si nasconde. La prima componente sfrutta la stessa radice di fr. cache
‘nascondiglio’, fr. cach-et ‘capsula’,
ingl. keg <kag ‘barile’, abruzz. chëc-όnë ‘grossa chiocciola’[1]. Per la componente –cornē indicherei lo
stesso it. corno ‘cavità rotondeggiante dell’encefalo’ (ce ne sono tre,
una diversa dall’altra, ma non a forma di corno, mi pare). Il quale, nella
fattispecie, deve avere la stessa radice del lat. coron-a(m) ’corona’,
gr. korṓnē
‘curvatura, anello di porta’, con accento ritratto sulla prima sillaba, come
avvenne in una fase preistorica del latino e dell’etrusco, con il conseguente
oscuramento o caduta delle vocali atone. C’è anche il serbo-croato kornj-ača ‘tartaruca’. Il corno anatomico è altrimenti
chiamato ventricolo. Ma c’è anche un
latino cornu ‘corno’ usato, nella
seconda satira di Orazio, col significato di vaso da olio’ Il concetto di
“corno”, ora saldamente infisso nella nostra mente, ci impedisce di capire che
esso poteva designare anche una cavità,
come nel toponimo Buco del Corno, un
antro famoso in provincia di Bergamo. Il corno, stilizzato, presenta una parte
esterna a guisa di punta e convessità, ma anche una parte interna a
guisa di concavità. L’italiano
obsoleto corn-uta ‘recipiente di legno per portare acqua’ non deve la
sua denominazione al fatto che aveva due manici, bensì al suo essere
recipiente, appunto. Il secondo elemento –uta
forse ha a che fare con lat. uter-u(m) ‘utero (in quanto cavità)’
e lat. utr-e(m) ‘otre’.
La
cantilena gallicchiese annunciata nel titolo, in genere recitata dai ragazzi
per far uscire dal guscio la lumaca, è la seguente: Caccia, caccia-còrnë, mamma tùië të ngòrnë, të ngòrnë ndu përtùsë,
mamma tùië è nna frëghëgliùsë! (lumaca, lumachina, tua madre ti incorna —ti
attacca con le antenne—, ti incorna nel buco, tua madre è un barbagianni!)[2]. Ora, ad una prima lettura, fatta in base a
quello che ho detto sopra, la caccia-cornë non dovrebbe essere
altro che il guscio della lumaca, l’espressione
të
ngòrnë dovrebbe significare ‘ti avvolge, ti ricopre’. La voce mamma che, vedi caso, compare anche in
una filastrocca per la lumaca in uso ad Aielli quando ero ragazzo, dovrebbe in
questo contesto indicare ancora una copertura,
quella del guscio, appunto: essa
presenta la stessa radice del verbo am-mammà ‘coprire di terra una piantina a protezione delle radici’ [3]del
dialetto di Mormanno-Cs e del primo componente della voce siciliana mamma-luccu ‘chiocciola’. Interessante è il
gr. mamma-kýthos, usato dal commediografo Aristofane, nel significato di semplicione. La componente kýth-os
rimanda al verbo keýth-ein
’nascondere, celare’, e la componente mámma vale mammella e mamma
(linguaggio infantile) come in latino. Ma la radice di quest’ultima poteva essersi
incrociata con quella per ‘copertura, cavità’ di cui abbiamo parlato, sicchè il
tutto poteva indicare ‘uno che se ne sta nascosto, rintanato’ e sviluppare il
significato di ‘timidone, semplicione’. Non bisogna affatto seguire il
suggerimento del vocabolario del Rocci, che ne dà il supposto valore letterale
di «che si nasconde nella gonna della
madre». In Grecia persino un normale
cittadino che non si interessava della cosa pubblica veniva considerato uno
stupido, un semplicione, appunto. Il gr. idiṓtēs, da cui il latino e
italiano idiota, indicava un uomo privato
ma anche un ignorante, rozzo, semplicione.
Nella cantilena si dice anche che la mamma
compie l’azione di “incornare” nel buco,
il quale torna ad indicare la cavità indicherà
del guscio. L’ultima dichiarazione della
cantilena, il paragone della mamma ad un barbagianni, sembra la più cervellotica,
ma in effetti non lo è. Perché nel pugliese, in un’area, quindi, non lontana da
quella lucana, si incontra la voce cornicedda[4] ‘allocco,
barbagianni’ ricondotta ad un latino parlato *cornic-ella, diminutivo
di lat. cornic-ul-a(m) ‘cornacchia’
da lat. cornix ‘cornacchia’. Ma io sono propenso a credere che la parola
vada segmentata in corni-cedda, il cui primo elemento richiama il gr. korṓnē
‘cornacchia’, passata ad una forma dialettale *korne, a causa dello
spostamento dell’accento sulla prima sillaba di cui abbiamo parlato.
In
francese cornacchia suona corn-eille. Questi nomi di uccelli espressi
dalla radice in questione corn- mi
riconferma nel convincimento che all’origine essa aveva anche il valore di animale. Per cui anche il primo elemento di caccia-cornë doveva significare animale: cfr.
abr. cacci-unë, cacci-un-ijjë ‘cagnolino’, sp. cach-orro ‘cucciolo’, lo stesso it. cucci-olo, ungh. kakas ‘gallo’. Il secondo elemento –cedda
< -cella di corni-cedda
‘allocco, barbagianni’ più che diminutivo, mi sembra una forma dialettale per
‘uccello’. La voce gallicchiese frëghëgliùsë
‘barbagianni’ richiama un po’ quella arcaica aiellese prëngëllòtta ‘pipistrello’. Alcuni miei amici, nei bei tempi
andati, mi appiopparono quel nomignolo, perché ero solito uscire sul tardi,
quando essi avevano fatto già molti giri in piazza (ngimallaporta).
Che la mia supposizione precedente, relativa
all’equazione corno=lumaca, cogliesse nel segno, lo dimostra, se ce ne fosse bisogno,
la voce veneta corgnòlo ‘chiocciola’ che ho letta oggi, diversi giorni dopo la
stesura di questo articolo[5]. Corgnolo
è dal lat, corn-eol-u(m) ‘a
forma di corno’ ma in questo caso esso non richiama affatto le corna della lumaca, come vuole il
Cortelazzo che ne spiega l’etimo ma, semmai, il guscio dell’animale o, più in
fondo, l’animale stesso.
[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[3] Cfr.
sito web: http://pietromaccallini.blogspot.com/2015/06/i-termi-ni-matrimonio-e-patrimonio-e-il.html.
[4] Cfr.
Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET Torino, 1998.
[5] Cfr.
Cortelazzo-arcato, cit.
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