La locuzione avverbiale a
perdifiato potrebbe riservare sorprese impensabili. Essa, come è noto, significa generalmente ‘a
più non posso, a rotta di collo, ecc.’ e letteralmente ‘fino a perdere il fiato’,
compiendo un’azione, non so, come quella di correre. Non comunemente essa significa anche a tutta lena, come se fosse ‘a tutto
respiro’, concetto, nella sostanza semantica, simile all’altro ma formalmente opposto ad esso: con essa si sostiene,
infatti, che il respiro ( cfr. fr.
haleine ‘respiro’) non viene a
mancare, bensì è presente in tutta la sua forza.
In questi casi, allora, come ormai sapete, io non posso non drizzare le
orecchie per avvertire i minimi segni di una realtà diversa. Si aggiunga il
fatto, non secondario, che la Lingua usa solo l’espressione a perdi-fiato
e non altre precedute da perdi- come
potrebbero essere a perdi-voce, *a perdi-conoscenza, *a perdi-forza,
ecc.
Quindi deduco che all’origine perdi-fiato era il solito composto tautologico, con il perdi- corrispondente pari pari al gr. pérd-esthai ‘emettere peti’ e richiamante il
ted. Furz
‘peto’, ingl. fart ‘peto’. Il suo significato doveva essere quindi a tutto fiato, a tutta lena, non fino a perdere il fiato. Non lasciatevi
disturbare dall’odore perché molto
probabilmente il suo valore originario era quello di ‘aria, vento’.
Il sostantivo perdi-giorno potrebbe essersi sviluppato da un aggettivo latino non
registrato, però, dai vocabolari, cioè *per-di-urn-u (m) ‘che dura tutto il
giorno’, un incrocio tra l’aggett. lat. per-di-u (m) ‘che dura tutto il giorno’
e l’aggett. lat. di-urn-u(m) ‘diurno,
giornaliero. Secondo la mia ipotesi *per-di-urn-u(m) si incrociò a sua volta,
nel latino parlato, col verbo perd-ĕre ‘rovinare, perdere’ assumendo naturalmente il
significato di ‘perdi-giorno’, appunto. L’it. giorno (dialett. jurnë) deriva da
lat. (tempus) di-urn-um ‘tempo della luce del giorno’, radice
ben nota, presente nella divinità del cielo indoeuropea, lat. Iu-ppiter ‘Giove’, gr. Zéus ‘Giove’.
E il perdi-giorno, nome regionale che indica diversi uccelli palustri, come si spiega?. Senza andare troppo per le lunghe io suppongo una precedente voce *perdi-órnis intesa come *perd-iórnis > perdi-giorno: l’elemento perdi-, col significato generico di ‘animale, uccello’ richiamerebbe il lat. perd-ic-e(m) ‘pernice’, gr. pérd-iks ‘pernice’ da taluni connessi con gr. pérd-esthai 'spetezzare', per via di certi rumori emessi dall’uccello; l’elemento órnis in greco vale ‘uccello’, da collegare a mio avviso con ted. poetico Aar ‘aquila’, lat. ar-de-a(m) ‘airone’ uccello acquatico, nome regionale ar-éna che indica il turdus viscivorus.
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