giovedì 25 marzo 2021

Lavandare.

 

                   Lavandare

 

«Nel campo mezzo grigio e mezzo nero

resta un aratro senza buoi, che pare

dimenticato, tra il vapor leggero.

 

E cadenzato dalla gora viene

lo sciabordare delle lavandare

con tonfi spessi e lunghe cantilene:

 

Il vento soffia e nevica la frasca,

e tu non torni ancora al tuo paese!

quando partisti, come son rimasta!

come l'aratro in mezzo alla maggese.»

 

    Il Pascoli evoca alla perfezione, in questo madrigale, il senso di solitudine di una lavandaia abbandonata in paese dal suo uomo andato via. Il verso finale "come l'aratro in mezzo alla maggese", cioè come l'aratro abbandonato nel campo mezzo arato e mezzo sodo è un simbolo carico di significati. Il maggese in italiano è 'il campo arato, dopo essere stato lasciato incolto a riposare'. Nei dialetti suona "maésa" (Aielli) o altrove, più spesso, "majésa". La voce è fatta derivare dal lat. Maius 'maggio', perchè solitamente (così si dice) il campo veniva arato di maggio. Ma questo è un fatto secondario. Nella poesia siamo addirittura in autunno (l'aratro è dimenticato nel campo tra il vapor leggero della nebbia). Ora, la pronuncia aiellese di "maesa" mi fa pensare che in origine tra le due vocali doveva esserci la velare sonora -g-, come nello stesso  nome dialettale di Aéjje < Ag-ell-u(m) con pronuncia gutturale della –g-, come del resto nell’it. maestro < lat. magis-tru-(m).La radice quindi doveva essere *mag-, quella del gr. mass-ein 'impastare, preparare'. La maésa  era quindi un terreno lavorato, preparato per una nuova coltivazione.

 

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