Il modo di dire popolare non c’era
un cane sappiamo tutti che significa ‘non c’era nessuno’. Come mai si
ripresenta anche qui questo benedetto animale? Come al solito suppongo che l’espressione
si sia sviluppata da un precedente strato linguistico in cui doveva essere
presente un pronome o aggettivo di tipo germanico come l’ant. sassone nig-ēn, neg-ēn ’nessuno’, ant. alto ted.nihh-ein, noh-ein ‘nessuno’. Il
primo elemento nig-, neg-
corrisponde alla particella negativa latina ne ‘non (arcaico)’, nec,
neque
‘e non, ma non già, neppure, ecc.’. Il
secondo elemento è l’ingl. one ‘uno’,ant. ingl. ān ‘uno’ ted. ein
‘uno’, got. ains ‘uno’.
Ora, a me pare che lo spagn. ning-uno ‘nessuno’ e il port. ningu-ém, nenh-um ‘nessuno’ non
debbano per forza essere considerati
come generati dal lat. nec + un-u(m) ‘non uno’, cioè ‘nessuno’.
Essi potevano essere sopravvivenze nel latino parlato di forme di
origine più antica, indoeuropea. E’
chiaro che una forma come quella anglosassone neg-ān ‘nessuno’, se fosse sopravvisuta anche nei dialetti
italiani, avrebbe quasi sicuramente provocato il fraintendimento di ‘un
cane’. Un indizio molto forte a favore
della sopravvivenza anche in Italia della detta forma è costituito dal fatto
che l’espressione del linguaggio popolare non
c’era un cane si usa solo in frasi negative. E allora essa doveva provenire proprio da
espressioni germaniche negative con la presenza di pronomi o aggettivi negativi
come appunto neg-ān ‘nessuno’ che in tedesco ha generato l’aggett. kein, keine,
kein ‘nessuno’ e il pronome kein-er, keine, kein-es ‘nessuno’,
nei quali la particella negativa neg- si è ridotta al solo –k-. Si noti la frase Es war keiner da! (Non
c’era nessuno!). Non mi pare esista altra spiegazione. Nelle frasi positive subentra magari il gatto, accompagnato solitamente dal
numerale quattro, forse per una certa
assonanza tra quattro (napol. quattë ‘quattro’).
In francese, però, il gatto, da solo, è presente in frasi negative come il n’y avait pas un chat ‘non c’era un
cane’, letter. ‘non c’era un un gatto’.
Se si va a controllare il Merriam-Webster si scopre per l’ingl. cat ‘gatto’ un uso gergale col significato
di ‘individuo, persona, tipo’: il fatto
potrebbe spiegarsi ricorrendo al significato generico di fondo: essere vivente, animale o persona.
A proposito di quattro gatti
colgo l’occasione per ricordare (e lo farò sempre) la magnifica locuzione
avverbiale in quattro e quattr’otto che significa ‘ in men che non si
dica, in un attimo’. Come mai tra le diverse operazioni aritmetiche la scelta
di chi pronunciò per primo questa espressione cadde sul numero quattro?
Come non mi stancherò mai di
ripetere (anzi, facendo ciò, in me stesso
m’essalto, come avrebbe detto il sommo Dante, al quale non son degno nemmeno di allacciare le scarpe) che l’espressione è passata dallo
strato linguistico latino a quello italiano senza che nessuno se ne accorgesse,
perché essa mantenne lo stesso identico significato di prima ma espresso, come
per magia inconsapevole e inspiegabile, con parole singolarmente prendevano un
significato diverso dando vita, in italiano, ad altra espressione che però non
mutava di un ette nel significato metaforico. La metafora! Ecco perché ogni
significato metaforico mi fa drizzare le orecchie! L’espressione latina precedente e originaria,
credo di natura colloquiale, era coacte coacte, ociter ‘alla svelta alla svelta, velocemente’,
e divenne tra le mani dei parlanti coacte coacte, octo > quattë quattë, ottë ‘quattro e quattr’otto’, naturalmente senza che qualcuno
si voltasse indietro a controllarne il percorso.
Il
lat. coacte
è avverbio col significato di ‘alla svelta’ o anche ‘in modo conciso, stringato’,
dal verbo cog-ĕre ‘spingere insieme, raccogliere, addensare,
condensare’ e quindi i quattro
gatti (persone), anch’essi, non dovevano essere quattro di numero ma, più
genericamente, ristretti, pochi , scarsi. Concetto espresso, per essere chiaro, in modo diretto, non
figurato-metaforico! Amen.
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