Le rare volte in cui, nel cuore dell’estate in cui l’acqua mancava, mia
madre mi metteva a “guardà l’acqua” cioè a fare la fila aspettando il mio turno
per attingere il prezioso liquido dalla fontanella vicino casa, lo facevo con
un certo rincrescimento. Qualche volta
riflettevo sull’espressione ma naturalmente non andavo più in là del verbo guardare che anche in dialetto
significava ‘osservare, volgere lo sguardo’, e non si poteva dire che in fondo in
quella operazione non si guardasse l’acqua,
anche se l’espressione sembrava un po’ strana.
Ora, l’it. guardare è di
origine germanica (cfr. franco wart-ōn ‘stare in guardia, ted. wart-en ‘aspettare’, ingl. wait
‘aspettare’): la radice doveva avere il significato di tendere, attendere sia
nel senso di ‘tendere (gli occhi)’ sia in quello di ‘rivolgere l’attenzione, la
cura, curare’ o anche quello di ‘aspettare’, che, guarda caso, è dal lat. ad-spect-are
‘guardare con attenzione, fissare’, incrociato con lat. ex-spect-are ‘aspettare,
attendere’. Nel Vocabolario abruzzese del Bielli si ha sia vardà che aguardà col
significato di ‘aspettare’ e ‘guardare’.
Insomma, basta poco per confondere le idee ad un semplice parlante che manca
di una prospettiva storica.
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