Come è abbastanza noto agli abitanti del nostro cantuccio della Marsica,
la fonte degli Innamorati si trova all’interno delle Gole di
Aielli-Celano. Non si tratta di una
normale sorgente ma di acqua cadente a mo’ di doccia dal soffitto di una piccola grotta: una
specie di cascatella a pioggia, insomma.
Per questo idronimo supposi, già molti anni fa nelle mie vagabonde
ricerche, una stretta somiglianza (almeno per la seconda e terza costituente
del nome che suddivisi in Inna-mor-ati) con nientemeno che il nome
del fiume Murat Su, uno dei due corsi
d’acqua (l’altro è il Kara Su) che,
provenendo dall’Armenia turca, danno origine, unendosi, all’Eufrate. Per favore, non arricciate il naso se vado a
pescare il nome in paesi così lontani da noi, perché esso ricompare, a mio
avviso, nel paese abruzzese di Pereto, al confine col Lazio, sotto la forma di fonte Mar-mor-ata[1]. A Roma esiste un Porto della Ripa Grande alla Marmorata:
questo appellativo di Mar-mor-ata può costituire uno dei
diversi nomi con cui era conosciuto in antico il Tevere, ed indicare appunto il
‘fiume’. La componente Mar- è quella
che i linguisti considerano una base idronimica mediterranea. Il nome Su di Murat Su deve indicare proprio il ‘fiume’ o l’’acqua’, in qualche lingua
della zona. So che il turco su-yu vale ‘acqua, succo’.
E’ abbastanza sostenibile, quindi, che la designazione Inna-morati è conseguenza di un originario *In-morat- (con desinenza da stabilire)
incrociatosi col verbo inn-amorarsi. Di proposito ho scartato quella che
ritengo (ma fino ad un certo punto) lectio
facilior, cioè mettere questa denominazione in rapporto con l’idronimo fonte d’Am-ore
(a Sulmona) già noto ad Ovidio e con la stessa fonte Am-ara (Pescina –Aq)
la quale, tra l’altro, avrà suggerito il nome del paese immaginario di Fontamara
ad I. Silone. Ad Aielli, poi, si usava la bella espressione va ‘nn-amόrë, letteralmente ‘va in amore’, per
significare che una macchia di umidita in qualche parete riaffiorava,
rifioriva, tornava ad inumidirsi oppure riprendeva vigore, forza(cfr. avestico ama ‘forza’), concetti che vanno bene per sorgente, fonte, acqua e che
richiamano anche il lat. am-n-e(m) ‘fiume’
nonché il secondo membro del gr. pot-am-όs, il cui primo membro si ritrova anche nel lat. pet-ĕre ’dirigersi, assalire’ oltre che nel
gr. pí-pt-ein ‘cadere’. Da ricordare anche il grande fiume siberiano Amur di cui si danno vari etimi che non
condivido.
Il fatto sorprendente è che
anche nella famosa cascata delle Mar-more
in provincia di Terni esiste un Balcone
degli Innamorati! E sapete dove
si trova esattamente? Vicino al primo salto della Cascata, alla fine di un tunnel scavato agli inizi del
Novecento dal Genio Civile. Ma
l’idronimo *Inna-morat-, diventato forse microtoponimo della zona ma anche parte
del racconto leggendario circa l’amore del pastore Velino per la ninfa Nera,
doveva essere preesistente come insegna la fonte
degli Innamorati di cui sopra,
che, vedi caso, abbiamo visto essere una specie di cascatella a pioggia.
Sappiamo che le Cascate delle Marmore
sono formate dalle acque del fiume Vel-ino che precipitano in quelle della Nera. Da notare come dalla stessa radice Vel-, Bel-
(cfr monte
Vel-ino nella Marsica) possono
essere indicati ‘corsi d’acqua’ e ‘monti, alture’, in conseguenza del suo
valore primitivo di ‘spinta, pressione, sorgente’ verso l’alto o in qualsiasi
altra direzione, come ho avuto modo di spiegare in un articolo precedente.
Marmore è il nome dell’abitato in prossimità della cascata: esso viene derivato dal latino
neutro mar-mor che ha diversi
significati come ‘marmo, pietra, tumore, incrostazioni pietrose,
superficie del mare’. Il significato di
‘incrostazioni pietrose’ potrebbe essere quello giusto per il nostro Marmore, visto che gli abitanti della
zona parlano della rupe di Marmore dalla cui base il Velino
precipita e da cui il pastore Velino,
nel racconto del mito, si getta per raggiungere l’amata Nera. Ma c’è anche un’altra
possibilità etimologica: prima del II sec. a.C. il Velino non
precipitava (o precipitava solo parzialmente) nel burrone sottostante, come
aveva pure fatto in lontanissime epoche geologiche) ma proprio a causa delle
sue abbondanti sedimentazioni calcaree aveva creato una sorta di ostruzione,
diga in quel punto, allagando così tutta la pianura reatina occupata appunto
dal quello che i Romani chiamavano lac-u(m)
Vel-in-u(m) ‘lago Velino’. Quindi un nome come mar-mor ‘superficie
marina’ poteva indicare benissimo la superficie
del vasto lago Velino. Ma la stretta
vicinanza di Marmore alle dette
cascate, mi fa propendere per un suo significato di ‘scorrimento, caduta,
precipizio’. I toponimi, saldi come
querce, attraversano diverse facies culturali nei millenni, e per questo
possono riflettere vari significati.
Un’ultima notazione su questa radice mar-, mor-. Il verbo lat. in-mori ‘morire su, morire
in, cadere(morente) su ’ credo indicasse all’origine un movimento, quello di
‘cadere’. Abbiamo già visto il verbo de-mŏri
nel significato di ‘partire, andarsene, decedere’ in un precedente
articolo. E così si chiude il cerchio
intorno alla fonte degli Innamorati <
*in-mur-at. Forse la dicitura all’origine indicava un
genitivo singolare *In-mur-ati (dell’Inmurato) inteso
poi come un plurale maschile innamorati.
L’elemento idronimico –at è abbastanza diffuso, come ho
detto in altro articolo a proposito di fonte At-nesca,
e così è l’elemento in-, presente in
molti altri idronimi come fonte Dav-ina (Ortona dei Marsi-Aq) o lo stesso fiume svizzero-austriaco-tedesco
Inn,
lat. Aen-u(m). Meditate
gente, meditate!
Interessante, poi, è il nome di San Val-ent-ino,
presunto vescovo di Terni dei primi secoli dell’era volgare, che, in una
leggenda, avrebbe mostrato la purezza della ninfa Nera, messa in dubbio dal suo
fidanzato Velino. Il Santo avrebbe
percosso la roccia col suo bastone pastorale da cui scaturì un getto d’acqua
simile ad un bel velo da sposa. Si
noti la corrispondenza velo/Vel-ino. E’ così che nascono le leggende. Soprattutto in Europa del nord, San Val-entino
è protettore contro l’epilessia, il cosiddetto mal caduco, in tedesco
chiamato per l’appunto Fall-sucht, letteralmente ‘malattia della caduta’. La radice pel-, phel del te. Fall ’caduta, errore,
fallo, mancanza’, ted. fall-en ‘cadere’, it. falla è presente anche nel lat. fall-ĕre ‘ingannare, violare, mancare, sfuggire, ecc.’ e
facilmente poteva incrociarsi con quella di Val-ent-ino con fricativa sonora iniziale anziché con la sorda –f-.
Il santo, come è noto, è anche protettore degli innamorati . Ora, a parte
la coincidenza di questo nome con quello
di cascata, quale metafora potrebbe
essere più appropriata, per indicare un uomo innamorato pazzo, di quella
realizzata nella parola casca-morto, formata da radici che
ben conosciamo e che indicano comunque in questo composto un accasciarsi
o un cadere sfinito? Gli inglesi per innamorarsi usano la bella espressione to fall in love,
letteral. ‘cadere in amore’.
Ma non è tutto: ho dato una scorsa su
internet e ho visto che molte sono le valli San Valentino compreso anche un Fosso di San Valentino, dove scorre un fiumiciattolo. Ora non c’è
bisogno di spiegare che un fosso è una depressione come d’altronde anche una valle,termine che assuona col primo membro di Val-entino. E stupisce ancora di più il fatto che una cascata di San Valentino si trova all’interno
di un magnifico borgo della provincia del Sud Sardegna, chiamato Sadali
frequentato fin dai tempi prenuragici. La cascata è alimentata da una vicina
risorgiva . Naturalmente la gente locale
e tutti gli altri pensano che il nome derivi alla cascata dalla presenza nei
pressi della chiesa parrocchiale di San Valentino fatta risalire al V-IV sec.
d. C. Non poteva naturalmente mancare la solita leggenda: un uomo che portava
una statua del Santo non riuscì a smuoverla dopo aver fatto sosta nel paese. Ma,
nessuno si chiede che fine abbia mai fatto la denominazione che la cascata
doveva pur avere da tempi immemorabili, e nessuno riflette sul fatto che questa
chiesa è l’unica dedicata al Santo in tutta la Sardegna: come mai? La verità è
che non si era sviluppato nell’isola in culto del Santo che però, come un raro fungo, era spuntato nel paese di Sadali: allora bisogna invertire i termini del
problema: è la chiesa ad aver preso il nome dalla cascata, il quale doveva essere almeno quello di Valentino, Balentino o Fallentino se
non si vuole mantenere il “San”.
In Sardegna San Valentino è noto anche come
su Santu coiadori ‘il santo che fa
sposare’. Abbiamo incontrato già il velo
da sposa prodotto dal Santo nella leggenda relativa alle cascate delle Marmore. Sappiamo che in latino nub-e(m) significava ‘nube, velo’ tanto è vero che la radice aveva
dato origine al verbo nub-ĕre ’sposare’, letter. ‘prendere il
velo per qualcuno’ e al sostantivo nup-ti-as ‘nozze, sposalizio, matrimonio’. Per la nascita di queste leggende non è
secondario notare che lì dove c’è una cascata si forma sempre un velo di vapore il quale avrà appunto dato
origine alla favola del Santo che produce il velo da sposa e che fa sposare.
Tutto si tiene. Ho già osservato che i toponimi in genere, ma alcuni in
particolare, restando saldi come querce attraverso i millenni, sono come i custodi di svariati significati
accumulatisi nel tempo.
[1] Cfr. W.
Cianciusi, Profilo di storia linguistica
della Marsica, Tipografia di P.
Graziani, Roma,1988, p. 172.
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