Notissima a quasi tutti gli italiani è la leggenda di Gaio Muzio Scevola, il nobile romano
il quale, intrufolatosi nel campo nemico degli Etruschi che assediavano Roma
intorno alla fine del VI sec. a.C., tentò di uccidere il capo Porsenna, come narra Tito Livio. Purtroppo il
suo pugnale si infilò sulla schiena di un collaboratore di Porsenna, scambiato
da lui per il re avversario. Muzio non
si perse d’animo, anzi, per mostrare tutto il suo coraggio, pose la sua mano
destra, che aveva commesso lo sbaglio, sulle fiamme di un braciere ardente che
era lì davanti e ve la tenne fino a quando non si bruciò interamente. Porsenna,
ammirato di tanto coraggio, lo lasciò libero e fece la pace con Roma.
Il nome del nobile romano era esattamente Gaius Mucius (Gaio
Mucio), ma Mucius aveva la variante Mutius ‘Muzio’: sta di fatto,
comunque, che a noi la leggenda è arrivata col nome Muzio, e non Mucio. Dopo il fatto Gaio Muzio fu chiamato
Scevola (termine che deriva dal lat. scaev-u(m) ‘sinistro’) perché era rimasto
solo con la mano sinistra. Tutta la leggenda in verità non si riferisce a
qualche fatto realmente accaduto, ma
pare avere una forte motivazione
eziologica, mirante a trovare
l’origine del cognomen Scaevola proprio della gente Mucia.
Però mi pare che nessuno abbia fatto attenzione al nome Mutius
‘Muzio’ che offre un’esca prelibata alla supposizione che sto per fare: il
nobile e leggendario Gaio Muzio
in realtà doveva avere già la mano mozza,
prima del verificarsi del famoso episodio, dato che nel latino parlato, già a
partire dai suoi antichissimi tempi (VI sec. a.C) e forse prima, doveva esistere un aggett. *mutj-u(m) ‘mozzo,
tagliato’, variante del classico mut-il-u(m) ‘mutilo’ e generato, credo, dalla palatalizzazione della –l-, fenomeno attestato già da epoca
romana, anche se non si può escludere una diretta drivazione dalla radice mut-. Aveva ragione Mario Alinei nel supporre che
le forme dialettali sono più antiche o, semmai, coeve di quelle classiche. Ad
Aielli-Aq, Cerchio-Aq ed altrove un coltello am-muzz-ìte< *ad-mutj-ite è un coltello che ha perso
il filo, che taglia poco, che si è smussato, verbo anche questo collegato, attraverso il franc. mousse ’mozzo, troncato’, al lat. *mutj-u (m) ‘mozzo’.
La bella leggenda di Muzio Scevola, che appresi la prima volta dalla
bocca della mia maestra di III elementare rimanendone colpito, si è
autosviluppata certamente a partire dal nome Muzio del presunto
protagonista. E questo dimostra che tutte le leggende sono, dal punto di vista
linguistico, dei tesori che nascondono e contemporaneamente attestano stati
della lingua, che possono raggiungere anche la preistoria.
Ad onor del vero debbo riconoscere che nell’etimo proposto per l’aggett.
mozzo
da Ottorino Pianigiani (presente in rete), magistrato e linguista
dell’Ottocento, si accenna anche al lat. mut-ilus
nonché al lat. mutius, “usato –come
lui si esprime- dai Latini solo come pronome (la sottolineatura è mia)”. Mi pare evidente che qui egli volesse
intendere prenome invece di pronome, riferendosi al nome, però,
piuttosto che prenome, Mutius ‘Muzio’. Il prenome, secondo il
sistema onomastico latino dei tria nomina,
era Gaius ‘Gaio’(il nostro nome proprio); il nome era Mutius ’Muzio’ che
individuava la gens cui si apprteneva
(il nostro cognome); Il cognome o
soprannome era Scaevola (il nome della famiglia nucleare). Comunque, onore e gloria al Pianigiani, spesso
misconosciuto.
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