Il verbo in epigrafe ci viene dal dialetto di Luco dei
Marsi-Aq, e significa ‘tagliare di netto la testa’ o ‘colpire nettamente la
testa’[1]. Il primo membro scapë- ormai suppongo che lo conosciamo a fondo avendolo incontrato
diverse volte nei precedenti articoli, con vari significati tra cui spiccano
quelli di ‘urtare’ e ‘tagliare, rompere’ connessi col got. skab-an ‘radere, tagliare’ e ingl. shave ‘radere’.
Il secondo membro –cioccà all’inizio
ripeteva tautologicamente il significato del primo: in effetti esiste nei
dialetti il verbo cioccà ‘tagliare integralmente
una vite’, da cui credo si sia originato (attraverso l’inserimento di una –n- per incrocio con it. troncare) anche il centro-meridionale cionc-are ‘tagliare, segare, rompere’. Ora l’etimo di cioccà ‘tagliare (la vigna)’ lo trascuro perché mi sembra, a lume
di naso, abbastanza complesso. Ma è
fuor di dubbio che il verbo si sia incrociato con la voce dialettale (presente
anche a Luco dei Marsi) ciòcca
‘testa’, apparentemente metatesi dell’altro dialettale coccia
‘testa’. Ho detto apparentemente
perché comincio a dubitare che spesso dietro queste metatesi possa starsene a dormire una radice autonoma, bella e
buona, come spesso abbiamo visto succedere, negli articoli precedenti, a
proposito delle false –s- sottrattive
o estrattive o privative all’inizio di parola.
Il verbo scapë-cioccà è così molto
istruttivo perché, se letto in filigrana, ci dà varie informazioni sulla sua
storia, compresa quella dell’equivalenza tra tagliare e colpire: per
tagliare, in effetti, bisogna premere
con una certa forza e cioè colpire,
soprattutto quando, nella preistoria, l’uomo ancora non possedeva strumenti
affilati come i coltelli, ma solo pietre
anche se levigate.
La prima componente del verbo si ripresenta
nell’aiellese-abruzzese-meridionale scapë-cull-àssë ‘scapicollarsi’, cioè ‘scendere di corsa per
luoghi scoscesi, precipitarsi’ e simili.
Ora, a mio parere, dopo tutto quello che abbiamo capito, non mi pare
affatto che il verbo possa derivare da capo
e collo, come sentenziano i più. Qui è presente non il capo ma la radice di scapë- con tutta la sua forza
o spinta d’urto verso qualcosa; il collo, come tale, non c’entra per niente
perché presumo che si tratti della radice di un verbo come lat. per-cell-ĕre
‘atterrare, abbattere, colpire, percuotere, ferire’, composto dalla prepos. per ‘per, attraverso’ e da un verbo non
attestato nella forma semplice *cell-ĕre che pure doveva esistere. Al perfetto la radice muta in per-cul-i
‘abbattei’, mutazione che va a fagiolo per il dialettale scapë-cull-àssë ‘scapicollarsi’, il cui secondo
membro, quindi, non combacia con quello di lat. coll-u(m) ’collo’, a meno che anche la sua radice indicasse uno spingere specializzatosi nella direzione ‘verso l’alto’ come in varie altre
parole latine quali lat. coll-e(m) ‘colle’ (cfr.ingl. hill ‘colle’) e lat. colu-mn-a(m) ‘colonna’. La spinta
all’inizio poteva esercitarsi in diverse direzioni come nel lat. per-cell-ĕre
‘abbattere, atterrare’ di cui sopra.
Naturalmente bisogna analizzare allo stesso modo l’it. scavezza–collo ‘discesa precipitosa, caduta
rovinosa’ nelle cui due radici c’è, di nuovo, tutta l’irruenza possibile di un procedere furioso, e niente affatto il
presunto valore specializzato di ‘romper(si) il collo’. Attenzione! Scav-ezz-are (o scap-ezz-are) in italiano significa anche ‘potare la cima di un albero,
abbattere la cima di un edificio, decapitare’, ed è fatto derivare erroneamente
da it. cavezzo < lat, capiti-u(m)
‘apertura della tunica per infilarvi il capo
<lat. caput’ oppure semplicemente
‘cappuccio’: insomma in questo scav-ezz-are sarebbe da vedere, secondo i linguisti, il ‘capo che viene
tagliato o rotto’ in virtù della –s- privativa e non, invece, la
irruenza della solita radice scap- . Il dialettale scap-ëzz-όnë, però, significa solo ‘sberla, scappellotto
violento’ nel dialetto di Luco dei Marsi-Aq [2].
Bisogna fare molta attenzione, perché le
espressioni italiane come scavezzarsi il
collo o rompersi il collo, sono a
mio avviso da considerare autonome rispetto a scavezza-collo ‘discesa precipitosa, persona
spericolata, ecc.’ e rispetto a rompi-collo ‘ luogo scosceso, persona spericolata’. Quest’ultimo è da intendere sempre come spinta precipitosa, perché il primo
membro rompi- non ha il
valore preciso di rompere, spezzare ma quello di prorompere, scagliarsi, lanciarsi presente nel lat. rump-ĕre,lat. e-rump-ĕre, lat. pro-rump-ĕre. Anche se sono molte le espressioni come rompi-scatole, rompi-ghiaccio, rompi-fiamma che potrebbero farci pensare il contrario; ma c’è a mio
avviso una particolarità importante che
le contraddistingue: esse sono tutte inchiodate ad un significato preciso che
non ci fa intravedere alcuna possibilità di considerarle come specializzazione
di forme più antiche, cariche di storia, con significati generici. Esse sono,
in effetti, creature in genere recenti o recentissime.
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