Dalle nostre parti il verbo scafà
significa ‘mutare pelo’ (detto di equini o bovini ed altri animali soggetti a
tale fenomeno stagionale), oppure ‘fare il lavaggio delle pecore prima della
tosatura immergendole nell’acqua di torrenti o stagni. Ha anche il senso
figurato di ‘diventare più civile, disinvolto, nei rapporti con gli altri
avendo acquisito una certa emancipazione e padronanza di sé’[1]. Quest’ultimo significato è presente anche nel
romanesco, oltre a quello di ‘ liberare dal baccello, sgranare’.
Ora, l’etimo del verbo sarebbe lo stesso del sostantivo dialettale scafa
’fava, baccello’ di cui abbiamo parlato nei precedenti articoli. La s- iniziale di s-cafà, oltre ad essere
parte della radice svolgerebbe contemporaneamente anche una funzione
sottrattiva, proveniente dalla prep. lat. ex ‘fuori da’: il tutto
significherebbe ‘cavare la fava fuori dal baccello’. Io, però, temo fortemente che questo scafà
possa giungerci da una forma come quella
del lat. ex-cav-are ‘cavar fuori, scavare’, incrociatasi colla voce
dialettale scafa ‘fava, baccello’ e dando, così, il nostro scaf-are al posto dell’it. scav-are. Nel dialetto lucano di
Gallicchio-Pz scafë
vale
‘scavo’ e scafà vale ‘scavare’.
Resta comunque da spiegare il significato di ‘mutare il pelo’ che
difficilmente può, a mio avviso, derivare da quello di ‘sbaccellare, sgusciare’. Per farlo bisogna ricorrere ad un valore
fondamentale della radice in questione, che, come abbiamo visto in precedenti
articoli, è quello di ‘spingere, urtare, cozzare, tagliare’: l’ant. slavo skuba-ti, che presenta la stessa radice di
ingl. shove ‘spingere’
imparentata sempre con la radice in questione, significa proprio ‘cogliere,
spennare, strappare (capelli)’ facendo capire che l’idea di “spinta” questa
volta si concretizza e specializza in quella di “spennare, pelare, strappare” e
“far pelare, perdere i capelli o il pelo”. Altrimenti non si spiegherebbe
nemmeno il significato del dialettale scaf-etta ‘affettuoso pizzicotto
dato sulla guancia’ (a Rocca di Botte-Aq)[2].
Il verbo regionale scafarsi indica anche il rotolarsi
di uccelli su terreno sabbioso asciutto, in particolare dei gallinacei, per
liberarsi dei parassiti e quindi pulirsi, in un certo senso. E qui riappare stupendamente uno dei
significati base di queste radici come l’ingl. shave ‘radersi’, ad
indicare l’azione dello sfregamento
compiuto da questi uccelli al fine di togliersi di dosso le impurità incrostate
e, anche qui, ripulirsi, in qualche
modo lavarsi. Mi viene in mente il
verbo abruzz. štrëc-ulà ‘stropicciare i pannolini, fregare
gli occhi’, il trasaccano striquià ‘liberare dal fango secco
un indumento incrostato’[3]. Il verbo è di ascendenza germanica, cfr. ted.
streichel-n ‘passare sopra con la mano,
lisciare’. E così abbiamo spiegato anche il significato di ‘fare il lavaggio (delle
pecore)’ della radice scaf-.
Ma non è finita. Nel dialetto di Avezzano-Aq si incontra il verbo scapà
‘togliere i semi dei cereali dai rispettivi baccelli’[4]: è lo
stesso significato di scafà ‘sgranare, sbaccellare’
incontrato sopra. Per esso ho supposto
la derivazione possibile dal lat. ex-cav-are ‘cavar fuori’ ma non è escluso
che sia una forma con fricativa sorda –f- al posto della labiale sorda –p- di questo verbo scapà, come ce ne sono
tante nei nostri dialetti, e di cui ho parlato anche qualche articolo fa. Ma il significato originario di queste due
forme non era tanto ‘togliere fuori dal baccello (scafa) i semi’ quanto quello di spingere via, strappare, estrarre’,
significato che poteva andare bene anche per altre operazioni, come quella
dello spennare, dell’estrarre tartufi dal suolo, del
sottrarre qualcosa ad altri, ecc. e che solo
per caso, o per influsso di qualche radice che non conosciamo, si è
concretizzato e specializzato in quello di ‘sbaccellare’. Spero di essere stato
chiaro.
[1] Cfr. Q.
Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di
Censo, Avezzano-Aq, 2003.
[2] Cfr. M.
Marzolini, “…Me ‘nténni?” , Arti
Grafiche Tofani, Alatri-Fr, 1995.
[3] Cfr. Q.
Lucarelli, cit.
[4] Cfr.
Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto
avezzanese, senza editore, Avezzano-Aq 2002.
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