giovedì 15 aprile 2021

Scaià.

 

                                             

 

    È un verbo in uso un tempo ad Aielli-Aq, che però non ho avuto la fortuna di incontrare, finora, in altri dialetti: il significato è un po’ particolare, indica l’inclinarsi, il mettersi in posizione obliqua del carico di una bestia da soma e del suo basto, rispetto alla schiena dell’animale. Ciò succedeva evidentemente quando il carico era stato mal legato al basto, o il suo peso era abbastanza squilibrato nei due sacchi o nelle due ceste di destra e di sinistra.  Per dare una spiegazione visiva, guardando l’animale di fronte si vedeva l’insieme formato dai due sacchi e dal basto pendere appunto più da una parte che dall’altra, prossimo magari a rovesciarsi.

    Allora, chi conduceva l’animale tenendolo per la cavezza e ancora non si era accorto della cosa, incontrando qualcuno per strada si sentiva dire:”sì scaiàtë!”, espressione che, adattata in italiano, significa ‘hai scaiato!’, come se lo scaiare fosse stata un’azione compiuta dal conducente; e in effetti la colpa, se pure involontaria, era sua perché aveva caricato male la bestia (ammesso che questo lavoro l’avesse compiuto lui e non altri al momento del caricamento), anche se la causa immediata era stata lo sballottamento continuo del carico   dovuto al camminare. 

    In altro articolo scritto anni addietro mi pare di ricordare di aver collegato questo verbo alla voce dialettale aiellese-abruzzese la caia ‘cestone di vimini’ la quale, di forme diverse, era utile a trasportare i covoni di grano nelle aie o lo sterco essiccato nei campi.   La parola deve derivare dal lat. cave-a(m) > *ca(u)i-a ‘recinto, cavità, alveare, gabbia, cavea (del teatro)’, attraverso la caduta della semivocale latina  v-.  Ma scaià non mi pare che possa intendersi come verbo denominale da caia ‘cesta’ giacchè esso non ha il significato di ‘togliere la caia’ o di ‘rompere la caia’ o simili, bensì quello molto diverso dello squilibrarsi dei pesi del basto; questo squilibrio, inoltre,  si può verificare non solo con le caie ‘ceste’ ma con qualsiasi altro tipo di carico.  Non ho quindi nessuna difficoltà, considerate anche le molte parole di natura greca pervenuteci in epoca preistorica, di cui ho parlato in articoli specifici, a collegare il nostro scaià al gr. skai-όs (lat. scaev-um ‘sinistro’) ‘sinistro, occidentale, infausto, stolto, inetto, rozzo, obliquo, tortuoso’ e spiego perché.

   Il significato di ‘obliquo, storto’ fa al nostro caso: abbiamo detto che l’insieme del carico e del basto appare inclinato rispetto alla schiena dell’animale, in posizione obliqua dunque.  Non si scappa: la visione dell’inclinazione è netta da parte di chi guarda da davanti o da dietro. Il significato di ‘occidentale’ non è dovuto, a mio avviso, dal fatto che l’augure in Grecia guardava verso nord ed aveva così a sinistra l’occidente, ma dal fatto che molto probabilmente l’aggettivo aveva avuto in lingue o dialetti precedenti al greco il significato di ‘declinante, inclinato, pendente’ in riferimento al sole che volgeva al tramonto. Il significato di infausto si ritrova nelle lingue un po’ dappertutto collegato con gli uccelli provenienti dalla sinistra, quando l’augure guarda a nord, ma se l’augure guarda a sud gli uccelli provenienti da sinistra sono propizi, favorevoli, perché arrivano da oriente.  Insomma l’oriente è propizio perché vi nasce il sole, simbolo di vita, l’occidente è sfavorevole perché indica la morte del sole.  I significati di ‘stolto, rozzo, inetto, ecc.’ credo che si siano sviluppati da quello di ‘obliquo, storto’.

     Nel dialetto di Aielli esiste un altro verbo che apparentemente potrebbe dare qualche fastidio alla spiegazione che ho dato sopra.  Esso è il riflessivo ‘ngai-àsse (col partic. passato  ngai-atë) che indica la condizione di chi per età o altro cammina a mala pena oppure si tiene in piedi a mala pena.  Dopo averci riflettuto abbastanza ho tratto la conclusione che esso è composto dalla prepos. in-, che qui ha un valore intensivo, e dal verbo greco khalá-ein ‘allentare, abbassare, rendere floscio’ ma anche ‘diventare floscio, perdere la propria tensione, cedere’.  In italiano il verbo greco ha dato calare: si consideri l’espressione il vento è calato , cioè ha perso la sua forza. Sicchè uno che si è ‘n-gai-àtë è uno che ha perso il suo vigore. Ah! dimenticavo! La liquida –l-  di *‘n-gal-atë si è palatalizzata, come avviene in tantissimi casi nei dialetti: ne cito solo uno, il luchese (Luco dei Marsi-Aq) cùjë perculo’.  Per capirci meglio, il valore intensivo del prefisso in- di cui ho detto più sopra è quello di lat. in-can-esc-ĕre ‘incanutire, imbianchire’ rispetto al semplice can-esc-ĕre ‘imbianchire’ o quello di lat. im-minu-ĕre ‘diminuire’ rispetto a minu-ĕre ‘diminuire’, ecc.

   Oh se, nella lontana adolescenza, quando nella scuola media di Celano leggevo con passione e stupore le imprese di Achille, Ettore ed altri eroi nell’iliade di Omero tradotta dal Monti, qualcuno mi avesse detto che le famose porte Scèe (Skai-ái), cioè porte occidentali della città di Troia, condividevano la radice con il verbo scaià del mio paese!

Nessun commento:

Posta un commento