sabato 27 giugno 2009

Etimo di emiliano gat, gatein 'amento'

Emiliano gat o gatein ‘amento’(detto anche in italiano gatto, gattino), infiorescenza pendula di alcuni alberi come il gattice , l’ontano, ecc.

La credenza comune e la scienza dei linguisti riportano l’etimo al fatto che l’infiorescenza assomiglierebbe alla morbida coda dei “gatti” e così mettono, secondo me, una pietra tombale sopra la questione che meriterebbe maggiore attenzione, come avviene in tanti casi simili. La realtà è abbastanza curiosa. In effetti ho potuto constatare che i nomi degli insetti, degli animali, delle piante e delle loro infiorescenze (ma in fondo tutti i nomi) tendono, appena possono, a sviare l’attenzione dell’osservatore verso quel qualcosa che il nome stesso, sulla superficie dello strato linguistico in cui si trova a vivere, sembra indicare, e magari anche in modo appropriato, come se volesse giustificare così la sua presenza e rendersi cordiale, alla mano, del tutto trasparente. Ma la maggior parte delle volte questa identità di superficie è solo il risultato di un incrocio provvidenziale che, come dicevo, permette al termine, che altrimenti rimarrebbe probabilmente avvolto nella nebbia dell’ oscurità etimologica, di sbandierare ai quattro venti la sua identità, compreso il presunto tratto etimologico, facendosi così riconoscere come appartenente alla nostra identità linguistica senza alcuna ombra di dubbio. Eh! le parole hanno spesso gli stessi problemi umani di chi, provenendo da etnie lontane, dura fatica a proporsi come ‘diverso’ e magari cerca di superare l’ostacolo adottattando i costumi e il modo di comportarsi del popolo in mezzo a cui deve vivere. Fuor di metafora, però, è il parlante, e non la parola, a volerla attrarre nella sfera delle sue cognizioni sicure.
In questi casi, per addivenire all’etimo vero, nascosto sotto quello apparente, ci può illuminare il paragone con termini della stessa famiglia lessicale che però, in contesti linguistici diversi, indicano qualcosa di simile eppure diverso. E’ questo il caso del dialettale (lunigianese) gat-èlo ‘tralcio della vite’ che richiama, sia nella radice sia nel significato, l’emiliano gat, gat-ein solo che esso rimanda non all'idea di 'gatto' ma a quella di 'cane, cagnolino'(cfr. lat. catulus, catellus 'cagnolino'). Allora si deve dedurre che il significato sotterraneo della radice gat non doveva alludere a qualcosa di specifico, e probabilmente nemmeno ad animali particolari, ma a qualcosa di più generico come ‘rampollo, ramo, escrescenza, punta’. Pensare ad uno slittamento di significato da uno già specializzato ad un altro, come fanno generalmente i linguisti, qui mi pare impossibile data la sostanziale estraneità reciproca dei significati specifici coinvolti ( infiorescenza a coda di gatto da una parte, tralcio della vite dall'altra). E ancora più impossibile sarebbe tentare, con quel metodo, di conciliare il termine anche con un altro significato che esso assume nelle Marche, ad Arcevia (catiéllo), dove indica ‘qualsiasi seme d’erba difeso da aculei o filamenti’[1]. E qui cade a fagiolo il nostro marsicano catéjjë ‘seme di lappa o lappola’ con le sue spine uncinate per attaccarsi ai vestiti e al vello degli animali, una perfetta trovata della Natura per assicurarne la propagazione. Ma le parole hanno una irriducibile vocazione cosmopolita : il cadillo ‘lappa’ lo si ritrova anche nello spagnolo. Ma dirò di più: sotto le spoglie di un pauroso “lupo” lo ritroviamo nell’emiliano lov, lov-ein, nel significato appunto di ‘lappa’, parola che a mio avviso è semplice variante di ‘’lupo’’ il quale, quindi, come animale, non ha nulla a che fare col seme, come vuole invece Riccardo Bertani, famoso poliglotta contadino dell’ Emilia insieme probabilmente alla maggior parte dei linguisti, fuorviati dalle ‘’grinfie sanguinarie’’(come dice Bertani) dell’animale le quali richiamerebbero gli uncini del seme[2].
L’etimo di gat-èlo e delle sue varianti riporta al lat. catellus che a sua volta è diminutivo di lat. cat-ulus ‘cagnolino, cucciolo di ogni animale, cane adulto’. Il termine, più che al ‘cane’, sembra però alludere alla stessa radice di tardo lat. catt-us ‘gatto’ la quale, evidentemente, aveva all’origine il significato generico di ‘animale’. Anche catulus ha originato il dialettale cacchio ‘ramoscello’ attraverso la trafila catulus>catlus>caclu>cacchio. Ma quello che i linguisti mi pare non spieghino è come sia stato possibile semanticamente un simile passaggio da ‘cagnolino’ a ‘ramoscello’. La spiegazione, a mio avviso, non può essere quella che ricorre alla metafora che partendo dal ‘cagnolino’ assimila ad esso il ‘ramoscello’. In realtà il fenomeno è molto più profondo e ci porta molto probabilmente alla preistoria . Non bisogna affatto pensare che, siccome l’attestazione della uguaglianza cagnolino=ramoscello non risale al di là del tardo latino, noi siamo costretti a fermarci a quella data. E’ il meccanismo interno ad ogni radice, come l’abbiamo sopra analizzato, che ci fa capire che il significato di ‘cagnolino’ attinge esso stesso a quello più generico di ‘rampollo, pollone’ come di qualcosa che ‘nasce, vive e vegeta’. Sono in effetti molti i casi che lo fanno sospettare come gr. móschos ‘ramo, rampollo, giovane uomo o animale, vitello, rondinino’, gr. blástēma ‘pollone, prole (di animali e uomini)’, lat. pullus ‘pollone,germoglio, giovane animale, puledro, pulcino, ecc.’. ingl. scion ‘pollone, prole’, ingl. offspring ‘pollone, prole’, ted. Sprössling ‘pollone, figlio’, franc. rejeton ‘pollone, prole, discendente’.
Che il latino debba servire di parametro assoluto e prioritario quando si tratta di definire l’origine e la semantica dei termini, è ormai messo in dubbio, anzi negato, da linguisti famosi come Mario Alinei, anche se la stragrande maggioranza degli altri non sembra disposta a seguirlo. Ma è del tutto naturale pensare che esista una preistoria del latino, del tempo in cui esso era solo una delle tante parlate della penisola italiana che avrà dato e preso da esse e che probabilmente avrà vagato qua e là, quando era in formazione, in varie regioni almeno per qualche tempo. Ed è altrettanto naturale pensare che esso presentasse una serie notevole di varietà dialettali al suo interno, prima che si arrivasse al Latino classico, varietà che quindi vivevano da millenni e che sono riapparse, come pensa l’Alinei, nelle varietà che hanno dato origine alle lingue romanze, le quali, quindi, presenterebbero alcune caratteristiche e alcuni tratti anteriori a quelli del Latino classico. A questo punto mi pare certo che né ‘gatti’ né ‘lupi’ né altri animali potranno più tormentare le nostre veglie di ricercatori che faremmo bene perciò a puntare dritti e imperterriti verso quel significato di fondo di ogni parola, che ama andare sempre più a fondo, tanto da convergere verso quello di tutte le altre parole. Non per nulla la stessa radice gat ha dato origine al nome del pioppo noto come gattice e, a mio avviso, non perché esso produce i gat , le infiorescenze di cui sopra, ma perché è esso stesso, nel fondo, una ‘escrescenza, rampollo, albero’. Naturalmente la coincidenza della radice ha legato per l’eternità la vita e il destino dell’albero e della sua infiorescenza. Si incontra, però, anche il nome dell’arbusto noto volgarmente come cat oppure ciat (catha edulis,dall’arabo qāt) il quale, non avendo a che fare in nessun modo con i "gatti", dovrebbe farci capire che il legame tra il gattice e le sue infiorescenze quasi sicuramente non dura –ahimè!-, per speciale mutua passione, a partire dall’inizio della loro vita.
In conclusione debbo dire che mi pare abbastanza chiara e stupefacente la somiglianza tra il modo di operare della Natura nell’evoluzione degli organismi del regno vegetale ed animale, i quali sono da essa plasmati in modo tale da adattarli, attraverso una lenta trasformazione, alle diverse esigenze ambientali fino a farne magari degli specialisti di nicchia, e quello della Lingua che fa sì che una parola si adatti, di volta in volta, al suo ambiente naturale rappresentato dal tessuto connettivo delle altre parole con cui convive, fino al punto di far sviluppare in essa anche una strategia mimetica che ne nasconda, spesso alla perfezione, le caratteristiche e i significati d’origine al fine di farla vivere il più armoniosamente possibile, senza stonature stridenti, nel concerto di cui si trova a far parte. E tutto ciò è stato possibile grazie alla totale elasticità o plasmabilità (pari a quella delle cellule staminali) dei significati originari delle radici, la quale, producendo un numero elevato di omofoni, ha permesso il facile inserimento di una parola con un determinato significato storico dentro le vesti di un'altra con significato diverso, ma più rispondente alle caratteristiche ed esigenze del sistema linguistico in quel momento operante: perchè se ad esempio cadesse in desuetudine il termine "gatto(animale)" nella lingua italiana (cosa del resto possibile e normale, se si tiene presente l'immenso lasso di tempo riservato alla vita delle lingue) tutto il gioco che esso ora intrattiene con le controparti dialettali omofone, che sono entrate surrettiziamente nella sua orbita semantica, verrebbe a dissolversi, favorendo così molto probabilmente la loro caduta dall'uso, sotto la spinta di nuovi termini omosemantici che siano però più simili, nella veste esteriore (significante), al nuovo termine per 'gatto' subentrato all'antico.



[1] Cortellazzo- Marcato I Dialetti Italiani, UTET, Torino, 1998, p.217.

[2] Riccardo Bertani, Ideologia anziché etimologia, Notiziario A:N:P:I:, dicmbre 2007, Reggio Emilia.

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