Dopo aver indagato sull’origine del culto della Madonna della Vittoria di Aielli e dei Santi Martiri di Celano ad essa connessi nella motivazione originaria, l’acqua, è stato direi inevitabile andare a curiosare su quanto la storia e la tradizione ci ammanniscono sulla figura della Madonna della Vittoria di Scurcola. Leggendo il Di Pietro[1] ho appurato che ai suoi tempi la festa a Scurcola si celebrava con pompa solenne l’ultima domenica di settembre, giorno abbastanza distante da quello del 23 agosto in cui si era svolta, nel 1268, la famosa battaglia là da Tagliacozzo, / dove sanz’arme vinse il vecchio Alardo[2], e in cui avrebbe avuto un senso ricordare l’evento. Ed io rammento la meticolosità con cui, quando ero ragazzo, ancora si rispettavano le date tradizionali delle feste, che probabilmente erano passate indenni attraverso i secoli, dato che le condizioni socio-economiche della gente erano rimaste più o meno le stesse da lungo ordine di anni.
La questione si fa ancora più intrigante se si riflette su quanto il Di Pietro dice della chiesa di San Nicola (e di un annesso convento) di Cappelle dei Marsi, che fu oggetto di permuta con la chiesa di Santa Maria del Pertuso in quel di Sora, tra il Vescovo dei Marsi e l’abbazia di Casamari, dove erano presenti i frati cistercensi fin dal 1140. Successivamente, e precisamente nell’anno 1216 (Il Di Pietro, non so se per errore di stampa o altro, riporta la data erronea 1236) quella permuta fu dichiarata nulla dal pontefice Onorio III (1216-1227). Ma con il suo successore Gregorio IX (1227-1241) i diritti sulla chiesa tornarono completamente e forse definitivamente al vescovo dei Marsi. Sono riportate, come usa il Di Pietro, le testuali parole in latino con cui la chiesa appare nell’Elenco dei sussidi caritativi e cioè: …Item pro Ecclesia Sancti Nicolai de Cappellis (Monasterium Sanctae Mariae de Victoria)[3]…
Dal precedente quadro di riferimento si desume che frati cistercensi, dipendenti da quelli dell’abbazia di Casamari, dovettero pur operare a Cappelle, sia pure per un periodo piuttosto breve, già molti anni prima di quelli introdotti invece, come tutti dicono, per la prima volta da Carlo d’Angiò in occasione della erezione della splendida e sontuosa chiesa con relativo convento della madonna della Vittoria sulla sponda del fiume Imele, ricco di possedimenti vicini e lontani, di feudi e rendite. L’altra interessantissima osservazione riguarda l’attestazione dell’Elenco, in base alla quale la chiesa di San Nicola risulta essere in stretta connessione col monastero di Santa Maria della Vittoria. Ora, nel “proemio” della sua opera, il Di Pietro afferma che l’Elenco sarebbe stato scritto nel secolo XII, ma l’opinione oggi corrente, mi sembra, è che esso sia più recente e risalga al secolo XIV. Io, da semiprofano, sostengo che delle due l’una: o l’Elenco è stato scritto prima della data della battaglia (1268) e della costruzione del complesso chiesa-convento, pressappoco negli anni 1274-82, da parte di Carlo, e allora sarebbe evidente l’esistenza del culto della Madonna della Vittoria già prima del suo arrivo in Italia, o esso è stato scritto successivamente a quegli avvenimenti, magari nel corso del XIV secolo, e allora, in conseguenza del dato certo che le chiese che compaiono nell’Elenco sono esclusivamente quelle soggette alla giurisdizione del Vescovo, si deve con altrettanta certezza e rigore ugualmente dedurre che la chiesa ivi nominata, di San Nicola, annessa al convento di Santa Maria della Vittoria, non poteva far parte del complesso costruito da Carlo e posseduto dai Cistercensi. Il precedente ragionamento mi si è rivelato del tutto attendibile quando, andato a rileggere la citazione dall’Elenco fatta dal Di Pietro, mi sono accorto che essa, letta nella sua interezza, offriva un elemento inoppugnabile per stabilirne la datazione : vi si dice che un augustale d’oro, nella festa di Ognissanti, doveva essere pagato come tributo dalla chiesa di San Nicola, annessa al convento della Madonna della Vittoria, alla Diocesi dei Marsi. Il testo latino che continua quello sopra citato recita “…nomine census in festo omnium sanctorum debet auri Augustale unum, et quartam mortuorum, et decimarum”. L’augustale d’oro, introdotto da Federico II, fu coniato dal 1231 al 1250, come risulta da un sito internet da me consultato, e probabilmente anche sotto Manfredi e Corradino, fino al 1266: comunque la sua coniazione finisce due anni prima della battaglia di Tagliacozzo del 1268, ben otto anni prima dell’inizio dei lavori del magnifico convento e della splendida chiesa di Carlo (1274), e ben dodici anni prima della consacrazione del santuario, avvenuta, alla presenza del re, quando i lavori del complesso non erano stati però ancora tutti terminati (fine 1277). Mi sembra pacifico quindi pensare che l’augustale di Federico II, in questo periodo di tempo, dovette sparire dalla circolazione come moneta corrente, almeno nel regno di Sicilia, visto che esso era un potente mezzo di propaganda per il precedente regime, con la magnifica effigie di Federico II rappresentato con la testa coronata d’alloro. Mi risulta, infatti, che in un primo momento e fin dal 1266, anno della scofitta di Manfredi a Benevento, il sovrano angioino, in sostituzione dell’ augustale, coniasse il “reale” d’oro. Di conseguenza l’augustale nominato nella citazione deve riferirsi a un periodo precedente a quello della costruzione e consacrazione della chiesa di Carlo. A questo punto mi chiedo perché sia sostanzialmente sfuggito, a quanti si sono occupati di queste cose, il valore di questa importante citazione del Di Pietro. Il motivo deve essere lo stesso che indusse anche il Di Pietro a non riflettervi sopra quando, in contrasto con essa, nelle pagine dedicate a Scurcola, affermava che il culto della Madonna della Vittoria traeva la sua origine dal santuario fatto costruire da Carlo d’Angiò nei pressi del fiume Imele, dove avvenne la battaglia, e poi andato in rovina: la cosa, a tutti nota, era talmente “evidente” che nemmeno uno, degli storici precedenti, si era posto il problema. Le cose a mio avviso saranno perciò andate in questo modo: inizialmente esisteva in Cappelle un complesso costituito da un monastero della Madonna della Vittoria e dalla chiesa di San Nicola, complesso che come abbiamo visto passò sotto la giurisdizione del Vescovo dei Marsi e che evidentemente mantenne l’antica denominazione che andò poi a coincidere con quella del nuovo e molto più potente e noto complesso messo su da Carlo, che di conseguenza oscurò il nome originario (messo tra parentesi nell’Elenco e probabilmente scomparso nel corso del tempo) di quello relativo alla chiesa di San Nicola, che forse fu retto da parroci-abati e da canonici direttamente dipendenti dal Vescovo, come avveniva ancora nell’Ottocento, ai tempi del Di Pietro. La coincidenza delle denominazioni avrà generato tutte le confusioni fatte successivamente da quelli che si sono occupati della questione.
Io non pretendo di avere in mano la verità indiscussa e indiscutibile ma una somma di osservazioni, che spero sensate, mi ha portato ad esprimere il punto di vista di cui sopra, e suppongo che anche per questo caso la motivazione originaria del culto sia da ricercare nell’acqua, elemento vitale e di per sé divino per le antiche popolazioni. Il non lontano paese di Santa Anatolia, nome che in greco significa ‘sorgente’, venera accanto alla Santa dello stesso nome anche una Santa Vittoria. E’ quasi superfluo far notare che in prossimità del paese esistono abbondanti sorgenti, captate da un acquedotto. Peraltro una fonte chiamata Fiume ‘Natolia sgorga a pochi passi dall’antico alveo del Fucino, nel territorio di Aielli. Nella tradizione orale il “fiume” deriverebbe, passando sotto il paese, dalle sorgenti delle Suriendë, a 6-7 km dalla fonte: credenza formatasi automaticamente nella lontana epoca in cui il valore di anatolia (sorgente) era ancora trasparente per il parlante, e andava a coincidere con quello di suriendë (sorgente).
[1] Andrea Di Pietro, Agglomerazioni delle popolazioni attuali della diocesi dei Marsi, Avezzano 1869, p. 206.
[2] Dante Alighieri, Inferno, XXVIII, 18.
[3] Andrea Di Pietro, op. cit. p. 197.
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