Il nome Bernardo,variante di Berardo, di questa sorgente sul Gran Sasso e di altre è molto istruttivo al fine di riconoscere la validità o meno degli schemi linguistici ritenuti “assodati” relativamente alla derivazione dei personali considerati di “sicura” origine germanica. Questo nome, invece, ricorrendo variamente nella toponomastica italiana ad indicare, ad esempio, non solo corsi d’acqua ma anche alture, ci dovrebbe illuminare su come siano andate effettivamente le cose. Io penso che esso sia composto di due elementi tautologici indicanti in questo caso l’ 'acqua', e cioè bern- e -ard, le quali ricorrono in vari idronimi come Brenno, Bruno, Bruna, Verna (se ci limitiamo solo ad alcuni affluenti del Ticino incontriamo, infatti, i nomi Brenno, San Bern-ardino,Vern-avola) da una parte e Ardo, Arda, Ard-ore, Ardi-vestra dall’altro, ampliamenti quest’ultimi della nota radice idronimica ar (cfr. greco ardo, ardeuo ’innaffiare, irrigare’), confermando così la stretta rispondenza tra i corsi d’acqua e il calore: cfr. fiume Ar-ente, prov. Cosenza, torrente l’ Aia, affluente del Tevere (prov. di Terni) . La radice di lat. ar-ere ’essere secco’ è comunemente individuata in una forma non rotata as-. Io ritengo che ambo le varianti, compresa quella cosiddetta rotata, coesistessero, e potevano benissimo prestarsi anche proficuamente ad un gioco di sostituzione all’interno, ad esempio, di paradigmi verbali. Quindi il cosiddetto rotacismo è da considerare, secondo me, un fenomeno di sostituzione piuttosto che di trasformazione.
I linguisti unanimemente parlano, senza tentennamenti, dell’origine germanica del nome Bernardo (Berardo), il quale però doveva attingere, secondo me, a strati linguistici ben più profondi ed ampi di quello germanico, nel quale si aveva, anzi, soltanto una sua reinterpretazione (Bern-hard), con l’introduzione di un’aspirata di troppo, del nome proveniente da uno strato più antico. L’interpretazione corrente è quella che fa risalire il termine ad un germanico *beran- ‘orso’ e hardhu-‘duro,forte,valoroso’, due componenti che, insieme, avrebbero dato il senso di ’orso valoroso’ o ‘forte, valoroso come un orso’. Io rifiuto recisamente queste due spiegazioni perché sono convinto del significato tautologico, all’origine, delle due componenti (ormai la considero una legge), la seconda delle quali, infatti, dovrebbe corrispondere al celtico art ‘orso’. Ma, naturalmente, non è da credere che questo significato fosse quello di partenza, data, per esempio, la presenza di idronimi omofoni in Italia, idronimi che, essendo a mio avviso radicati nel terreno da epoche immemorabili, fanno capo quindi, come tutti gli altri, al significato di ‘animale’, nel senso di ‘essere vivente’ compresi gli ‘orsi’ le ‘fonti’(cfr. en passant le svariate Fonti dell’Orso in Italia e i toponimi Urs-bach, Ursen-bach dell’area germanica). In Germania il termine Bern-hard, pur presente nella toponomastica, dovette passare nel lessico ad indicare in un primo momento forse l’ essere umano per poi diventare, una volta oscuratosi il suo significato originario, uno dei tanti nomi personali che presumibilmente hanno subito la stessa trafila semantica.
Questo fatto dà la misura del gap vasto e profondo che separa il mio punto di vista da quello della della linguistica tradizionale che non si rende conto che un nome personale come Bernardo, se pure sarà senz’altro vero che si sia diffuso da noi con la calata dei popoli barbari dell’area germanica, aveva però piantato qui le radici già millenni prima dell’arrivo dei barbari, forse addirittura molto prima che si formasse e risonasse il nome della nazione germanica. Esso è da considerare, dunque, piuttosto un cavallo di ritorno. E’ completamente fuorviante supporre che le lingue, per quanto riguarda il materiale lessicale di fondo (non certo le funzioni grammaticali), siano separate, più o meno nettamente, le une dalle altre: i loro nomi, anche quelli che sembrano sfuggire ad una accettabile comparazione e sembrano un prodotto genuino del genio linguistico di questa o quella nazione, erano in realtà materiale contenuto nel gran calderone comune della Lingua a cui esse automaticamente e liberamente attingevano: come nel caso in questione, accadeva spesso che le parole passassero e ripassassero più volte negli stessi luoghi, talora a distanza di secoli e millenni, apparentemente come estranee e nuove di zecca a giudicare dalle loro vesti brillanti ma esse, nel loro cuore, non smettevano di coccolarseli segretamente, questi luoghi, con sguardi familiari. La linguistica si attarda a distinguere ancora abbastanza nettamente tra uno strato indoeuropeo e uno sottostante mediterraneo, quando invece dovrebbe avere una visione più unitaria e nel contempo molto più variegata e movimentata non solo in conseguenza delle trasmigrazioni preistoriche precedenti al formarsi di una presunta lingua e nazione ‘indoeuropea’ (la quale, d’altronde, non avrebbe potuto non essere imbevuta degli stessi umori delle precedenti civiltà), ma specialmente per effetto del lungo raggio semantico di ogni parola. Come affermavo in una poesiuola di tanti anni fa, quando ancora non avevo iniziato questo studio appassionante e terremotante, la parola è veramente una ‘bastarda che viene da lontano’, da molto lontano nello spazio, ma soprattutto nel tempo, cosa di cui i linguisti stentano a rendersi conto.
lunedì 22 giugno 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento