venerdì 12 giugno 2009

Mamoiada

Ritorno, dopo diversi anni, sul toponimo Mamoiada perché ho avuto la ventura, navigando in Internet, di incontrare dei siti con notizie particolarmente interessanti. Io sostenevo, nella rubrica Postille a RIOn, VIII (2002),1 p. 734-35, che il nome del paese doveva essere appartenuto precedentemente a quello della fontana posta sulla sua sommità, nota come su Qantaru Vetzu (la Fontana Vecchia), secondo l’articolo di Massimo Pittau del numero precedente della rivista, dove egli accordava un alto grado di verisimiglianza all’ipotesi che il nome del paese derivasse dall’espressione latina mansio manubiata ‘fermata o stazione sorvegliata’, la quale avrebbe attestato quindi che i Romani avevano tenuto in quel luogo un presidio militare permanente . A me sembrava invero più probabile l’ipotesi che l’originario nome proprio della fontana fosse passato ad indicare il primo insediamento preistorico sviluppatosi intorno ad essa, come è avvenuto anche ad altri centri abitati. E in effetti in questi giorni sono venuto a sapere che nella parte bassa del paese, precisamente nel rione San Giuseppe, esiste tuttora un’altra fontana chiamata Mamujone da cui sarebbe derivato, secondo la tradizione, il supposto nome originario del paese, cioè Mamujone diventato poi, non si sa quando, Mamojada. Ora, io credo che sia più realistico pensare invece che il primitivo nucleo del paese si sia organizzato nella parte alta dell’abitato intorno alla fontana di su Cantaru Vetzu, arrivata fino a noi priva di nome proprio, il quale doveva essere, appunto, *Mamoiada. Non è raro infatti il verificarsi, in toponomastica, del ripetersi a breve distanza di un stesso nome, anche leggermente variato, relativo a realtà geografiche dello stesso genere (monte, valle, fonte, ecc.), perché in verità in tempi più o meno remoti quei nomi propri erano solo nomi comuni. La precisazione della tradizione che il nome primitivo del paese fosse Mamujone mi sembra in realtà riflettere la situazione idronimica locale venutasi a creare dopo che l’originario nome proprio della fonte su Qantaru Vetzu era passato ad indicare quello del paese, perdendo per sempre la sua identità idronimica e lasciando così alle generazioni future l’unica possibilità di collegare il nome del paese a quello della fonte Mamujone, rimasta intatta nella sua identità proprio perché, alle origini, si trovava fuori dei limiti del villaggio che solo successivamente l’avrebbe inglobata. E’ certamente strano, però, che né il Pittau né il Dizionario di Toponomastica (UTET, Torino, 1997) fanno cenno di questa tradizione popolare che, vedi caso, conferma e convalida la mia tesi, la quale si basa su osservazioni di carattere generale, e tiene nel dovuto conto quello che è avvenuto anche ad altri toponimi di centri abitati sorti intorno a qualche sorgente. A mio avviso questo dimostra almeno che la tradizione relativa alla fonte di Mamoiada e la mia tesi seguono, pur essendosi originate del tutto separatamente e indipendentemente, lo stesso filo logico, perché l’una non è scaturita da altro se non dalla mera realtà geografica in cui si sono trovati a vivere generazioni di Mamoiadini da millenni, senza soluzione di continuità, e l’altra è scaturita dalla semplice osservazione diretta, nella toponomastica, di diversi centri abitati che, come Mamoiada, si sono impadroniti del nome proprio di sorgenti le quali, quindi, rimastene senza, hanno mantenuto solo l’appellativo generico. C’è comunque da sottolineare che in molti centri il nome della fonte, intorno a cui si sviluppò il primo agglomerato di capanne o casupole, ha continuato a mantenere la sua identità idronimica anche quando è passato ad indicare il paese intero.
Che il termine mamojada trasudi un’ idea di ‘acqua’ si può in qualche modo derivare anche dalla constatazione fatta da qualche studioso (Dolores Turchi ed altri) che in effetti i nomi sardi relativi a maschere preistoriche come mamuthone, maimone, mamoiada, mannau si equivalgono semanticamente e dovevano essere riferiti a divinità della pioggia e dell’acqua, una volta toltene tutte le incrostazioni culturali accumulate nel corso del tempo. In diversi paesi sardi, nei periodi di siccità, si era soliti portare in giro su una barella, per le vie dell’abitato, un simulacro chiamato maimone perché facesse cadere la pioggia. Ad Aidomaggiore, nell’oristanese, la canzoncina che si cantava durante la cerimonia così suonava: Maimone Maimone/ keret abba su laore/keret abba su siccau/Maimone laudau. Traduz.: Maimone Maimone/chiede acqua il grano/chiede acqua la terra bruciata/ Maimone sia lodato. Una curiosità. In questo paese il simulacro del Maimone viene addobbato con la pianta della pervinca, il cui nome locale è proinca ma nel nuorese è maimone, lo stesso nome della divinità. In questo caso, come in tanti altri, penso che l’usanza si sia sviluppata come conseguenza dell’incrociarsi di termini omofoni dai significati diversi, perché è vero che si potrebbe sostenere inversamente che il nome derivi alla pianta da quello della divinità per via dell’usanza di ornarne il simulacro, ma questa usanza resterebbe nel frattempo incomprensibile, immotivata, a meno che non ci si accontenti, quando ci sono, di quelle spiegazioni dotte e sottili, nutrite spesso di incertezze e supposizioni che lasciano quasi sempre il tempo che trovano.
Mi colpisce, inoltre, la sillaba iniziale ma- nei suddetti nomi di maschere che richiama il termine arabo ma per ‘acqua’, lo stesso secondo me dell’ebraico ma-yan ‘fonte, sorgente’. Resta comunque il fatto che molte fontane in Sardegna portano il nome di ma-imone. Ne ho incontrata una anche in Sicilia, ad Agira-Enna. In quello che parrebbe il secondo costituente di questo termine a me sembra di scorgere l’eco del famoso detto berbero, che risuona in tutto il Sahara, aman iman ‘l’acqua (è) anima (vita)’, in cui le due parole pluralia tantum sembrano rimandare ad un originario significato comune di ‘anima’, dato che l’acqua dovette apparire proprio come una delle più incontrovertibili entità viventi agli occhi dell’uomo preistorico. E non sarà forse un caso se nell’oasi di Siwa, dove si parla ancora un dialetto berbero e dove si trovava un famoso tempio di Amon, Amun, Imun (originariamente divinità dell’aria, del vento e della vita), esiste tuttora, lungo un sentiero che conduce ai suoi resti, una sorgente chiamata oggi in arabo Ain el-Hammam ‘Sorgente del Bagno’, chiara reinterpretazione, a mio avviso, di un originario Ammone.
Controbattendo il Pittau sostenevo anche che la parte più alta del paese di Mamoiada, chiamata su Castru, non poteva alludere con certezza alla presenza di un presidio militare romano perché dalla toponomastica risultavano molti monti di quel nome, e pertanto era probalile che in qualche lingua del lontano passato il nome castro fosse stato un oronimo e così il suo significato poteva essere quello di ‘monte, altura, roccia’. Ebbene, ora ho appurato dal DULS (Dizionario Universale della Lingua di Sardegna) di A. Rubattu, presente in rete, che, proprio in alcuni dialetti sardi, castru significa ‘sasso, macigno, nuraghe’.
E’ proprio vero che il tempo, e nessun altro, è stato galantuomo nei miei confronti.

2 commenti:

  1. Salve,

    vorrei indicarLe anche se un po' in ritardo con l'immissione del Suo contributo, uno mio recentissimo su Mamojada:

    web.tiscali.it/sardoillirica/sardoillirica

    saluti areddu

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  2. La sua meditazione linguistica è stata inserita nel portale culturale di Mamoiada: www.mamoiada.org (clic su etimologia).
    Saludos RB

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