L’origine
del culto dei martiri Simplicio, Costanzo e Vittoriano credo che, come tanti
altri, andrebbe rintracciata nella stessa toponomastica radicata nel territorio
, oltre che opportunamente interpretando quanto la tradizione orale e scritta
di essi ci dice. Operazione, quest’ultima, che, è bene sottolinearlo, va
ridotta all’osso e frenata in ogni modo, data la facilità con cui ogni dato può
essere interpretato in un senso o in un altro: cosa che finisce con
l’assecondare la naturale tendenza dell’uomo a lasciarsi prendere dal suo
bisogno di affabulazione e di mito, in specie quando egli rivolge lo sguardo
alle cose del passato più o meno antico e talora anche se è un ben armato e
agguerrito studioso.
La saga dei
martiri di Celano è evidente che ruota intorno alla Fonte Ranë ,
talianizzata in Fonte Grande, dove essi sarebbero stati
decapitati, verso la metà del II sec. d.C.: un abbondante capo d’acqua che
rimane anche costante nella portata nei vari periodi
dell’anno, come costanti rimasero i tre Santi dinanzi alle
minacce dei loro persecutori al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, come
racconta la tradizione. Ora, mi sembra indiscutibile il rapporto tra il nome di
uno dei martiri, Costanzo, e la costanza del flusso che scaturisce
dalla fonte il cui riverbero si riflette, appunto, nel comportamento dei Santi.
Ma la cosa interessante, secondo me, si scopre nell’etimo del nome Simplicio
che confermerebbe la fermezza dei Santi, riflesso della
invariabile portata della fonte . Il latino sim-plex presenta
una prima componente sim- che è quella di sem-el ‘una
volta’, di sem-per ’sempre’, di sim-ilem ‘simile’,
inglese same ’stesso’, i quali tutti ne sfruttano il
significato di unità, identità. Questo fatto ci autorizza a sostenere che un
possibile significato di sim-plex, magari sviluppatosi da
quello attestato di ‘uno, solo’, oltre che di ‘semplice’, poteva essere proprio
quello di ‘uniforme, costante, identico, fedele’ non multi-plex’ molteplice,
vario, instabile’ né du-plex ‘doppio, di duplice
natura, falso’, riconfermando così il concetto di cui sopra, che sottolinea la
fermezza e la forza di resistenza dei personaggi, che riappare in trasparenza
anche nell’episodio fantasioso del ritrovamento dei martiri “illesi da
corruzione, come se nel giorno innanzi vi fossero stati rinchiusi”[1].
Ma forse, più semplicemente (e la verità ha spesso il volto della semplicità
più naturale, una volta scoperta), è da scorgere nella parola Simplicio null’altro
che una simplex aqua ‘acqua pura”, espressione
usata da Ovidio come ogni buon vocabolario latino registra. D’altronde il
concetto di purezza non si discosta molto da quello di sincerità e di fedeltà.
Una fonte
così abbondante avrà dato origine, fin da epoche lontanissime, a qualche
divinità, sia pure minore, legata alle acque così importanti per la
sopravvivenza dell’uomo preistorico, quando certamente non esistevano
acquedotti. Quasi ogni fonte, ancora ai tempi di Roma antica , aveva la sua
bella ninfa. E allora se Simplicio e Costanzo sono solo delle ipostatizzazioni
di una o più caratteristiche dell’acqua di Fonte
Ranë, divenute magari appellativi del genius loci,
possiamo e dobbiamo rivolgerci all’altro nome Vittoriano se si
vuole approdare alla scoperta di originari idronimi trasformatisi evidentemente
in nomi di divinità. Si dà il caso, ma non è un caso, che nelle immediate
vicinanze della fonte si trovi la chiesa di San Giovanni Capodacqua (oggi nota come S. Maria
delle Grazie) costruita forse nel secolo XI, ma che andava probabilmente ad
occupare un suolo già “sacro” da tempi immemorabili come è, appunto, logico
supporre anche se nessuno può confermarcelo. Ora questo nome Giovanni deve essere
stato immediatamente preceduto nel tempo da quello di Ianni o Sant’Ianni,
come diversi toponimi nella Marsica e altrove stanno ancora ad attestare: e non
sarà anche qui un caso se abbastanza spesso il toponimo indica direttamente o è
in rapporto con qualche fonte, anche
piccola , nelle vicinanze, come ad Ortucchio, Scurcola, località San Giovanni
tra Subiaco e Jenne, come nel gruppo montuoso del Gran Sasso con le due
fonti Giovanni e Acqua San Giovanni,
e in tanti altri luoghi . L’idronimo è così antico, secondo me, da essere
presente in una leggenda romana che voleva che, in occasione di una irruzione
di nemici attraverso non ricordo quale porta, dal vicino tempio di Ianus scaturisse
un torrente così violento che essi
furono costretti a retrocedere o vennero addirittura travolti.
Procedendo
nella nostra ricerca scopriamo che la fonte Ranë era nota in passato
anche col nome di Fonte d’Oro o Fons Aurea ,
esatto doppione del nome di una fonte di Pescina: si tratterà evidentemente
della stessa radice della seconda componente del Met-auro, fiume risultante dalle
acque dei torrenti Meta e Auro. Un po’ dappertutto
si trovano poi fonti che portano il nome di San Vito come
a Cerchio, a Canistro, ecc. C’è anche da notare che una chiesa di San Vito è
proprio di fronte alla notissima Fonte delle 99 cannelle all’Aquila. Ora, se
proviamo a mettere insieme le radici idronimiche di vito, oro (aureo),
iani (ianni) otteniamo,
quasi come dal cappello di un prestigiatore ma in realtà solo per naturale
processo di sedimentazione linguistica attraverso i secoli, il nome di Vitt-or-iano,
il terzo dei Santi, incrociatosi naturalmente col nome personale Victor,
dell’ultima età repubblicana. Che sia avvenuta una operazione di tal genere mi
pare confermato da una tradizione, riportata dallo storico aiellese
dell’Ottocento Andrea Di Pietro, in quanto attestata in un non meglio precisato
“manoscritto di Monsignor Febei” di epoca molto antica, secondo la quale altri
tre santi Vittore, Giovanni, Stefano, martirizzati nella vicina Forme sempre al
tempo di Marco Aurelio, furono rinvenuti, proprio come gli altri tre, dal Beato
Giovanni da Foligno che scavava con un bid-ente ( si
noti come bid-, la prima componente del termine, sia variante della
suddetta radice vit- e si tenga presente il fiume Bidente in
Romagna) e trasportati, come gli altri tre, nella chiesa di San Giovanni di
Celano. Ognuno può vedere che i nomi dei due martiri Vittore e Giovanni ne
formano in realtà uno solo, e cioè Vittor-iano, in quella
che si può considerare la versione ufficiale di una medesima storia. Mi pare
inoltre abbastanza sospetta la ricorsività del nome “Giovanni” in quelli
di Giovanni da Foligno e di Giovanni da
Parma, il presunto costruttore della cassa di marmo in cui furono posti i corpi
rinvenuti intatti, per poterle accordare una qualche parvenza di verità. La
cosa è invece una prova formidabile della vocazione mitopoietica di certi
toponimi, radicati come rocce nel terreno, che pazientemente e
imperturbabilmente assistono al lento ma continuo fluire dei secoli e dei
millenni intorno a loro modellando i fatti, sia pur minimi, e i nomi della
storia locale. A suggello di questa considerazione si può aggiungere la notizia
( tratta dal sito internet: http://www.santiebeati.it/dettaglio/91925) secondo la quale la famiglia dei santi
martiri, originaria della Borgogna, sarebbe stata battezzata da San Gennaro,
non quello di Napoli, come si affretta a specificare l’autore del sito, ma
nemmeno da qualche altro possibile santo perché esso è solo un nome immaginario
scaturito, è evidente, dalla fonte inesauribile della radice Iani o Iano,
da cui Ianu-arius e quindi Gennaro. Ma le
meraviglie non finiscono qui.
Ad Aielli
celebriamo la festa della Madonna della Vittoria la
quale, secondo la tradizione, dopo un periodo di sei mesi di siccità, avrebbe
mandato, invocata da un frate dinanzi la chiesa di San Rocco dove era stata
posta e ripulita la sua statua abbandonata, tanta acqua quanta non se n’era mai
vista. Ricordo che i vecchi di Aielli precisavano che, prima della pioggia
ristoratrice, era apparsa una nuvoletta sulla sommità del monte Sand’ Uttërìnë (San
Vittorino, a nord-est di Celano). Mi pare quindi inoppugnabile la stretta
colleganza tra il nome di uno dei Santi martiri, Vittore o Vittoriano,
e quello della Madonna della Vittoria. A
questo si aggiunga anche che il termine lat. unda ’acqua,
onda’, il greco hýdor ‘acqua’, l’inglese water ‘acqua’
nonché l’umbro utur ‘acqua’ sembrano formazioni da una stessa
radice wed/ud. Tenendo d’occhio la voce greca e quella
inglese si ricava un preistorico *wydor che, secondo me, sta dietro
il santo Vittore. Non è ancora una volta un caso se esistono
le Terme di San Vittore (Ancona)
e se San Vittorino è un altro santo che subì il
martirio presso le Terme di Cotilia sulla
via Salaria. Il suo corpo sarebbe stato traslato e sepolto a San Vittorino
vicino L’Aquila, l’antica Amiternum. E’ inoltre appena il caso di
accennare alle molte Fonti Vittoria, La Vittoria, Santa Vittoria, sparse in
tutta Italia e alla Fonte Vittor-iana (Valli del Pasubio, Vicenza).
Se si
vogliono poi vedere le teste cadere sotto i colpi del carnefice basta, secondo
me, rivolgere l’attenzione al nome di San Giovanni Capo (dacqua), per
immaginare una ‘testa’ di san Giovanni, o della divinità precristiana a lui
precedente, ruzzolare orrendamente per terra. Ho usato le parentesi per
–dacqua- perché Capo-, anche da solo, è una radice idronimica ben nota
in tutta l’area del Mediterraneo, che è presente, secondo me, anche nel
giapponese kawa, gawa ‘fiume’, e che si ritrova,
infine, nel nome del rio Capo-ri-torto (Rocca di
Mezzo-Aq) nonché in quello del paese Cappa-docia, alle
sorgenti del Liri, dove esiste anche una fonte Cap-equa.
Incredibile! La voce cavò (cavone) 'sorgente
d'acqua' del dialetto di Marcellina-Roma costituisce una formidabile conferma a tutto
ciò come la voce acqua-duce' sorgente' del dialetto di
Villapiana-Cs lo è nei riguardi della componente -docia del
toponimo Cappa-docia.
Il
nome Capo-ri-torto presenta una seconda
componente –ri- equivalente a 'rio', come attestano in Italia i diffusi
idronimi Rio Torto, nome in cui, però, l’elemento Torto è solo
ampliamento di una radice tor, dor, tur,
presente anche nel fiume svizzero Turt-männa e forse
nel germanico *trott-on ’correre’, ted. tret-en ’camminare’.
Credo che non esista in natura un corso d’acqua che non sia più o meno “torto”
nel suo tracciato. Dulcis in fundo anche
il nome di Gaudenzia, la presunta madre dei Santi Martiri, può
derivare, senza alcuna difficoltà linguistica, da una forma originaria *Caput-entia o
*Cavud-entia (per influsso del corrispondente antroponimo),
con una seconda componente notoriamente idronimica (cfr. fiume Liv-enza,
fiume Pot-enza, fiume Dig-entia nella
Sabina presso la villa di Orazio, ecc.) che richiama anche la seconda
componente del bid-ente del beato Giovanni.
Il
significato di ‘testa’ è riscontrabile anche nel nome di Fonte Ranë, italianizzato
in “Grande”. Probabilmente esso rimanda al greco krénē o krána ‘sorgente,
fonte’, termine molto simile a greco kára, káran-on
’testa, cima’. D’altronde anche l’italiano capo si presta
ad indicare sia la 'testa' sia la 'fonte'. La gutturale iniziale, assimilatasi
a quella di 'grano' , in dialetto ranë, è caduta senza lasciare
traccia. Il maggiore ostacolo che si oppone all’interpretazione di fonte Ranë come
'grande' è il fatto che nei nostri dialetti la voce più diffusa per ‘grande’ è
l’aggettivo rossë o grossë e l’italiano
‘grande’ suona ai nostri orecchi alquanto estraneo.
A questo
punto mi si offre la possibilità di far notare che nemmeno i linguisti si sono
resi conto della natura profonda delle radici, le quali si comportano come le
cellule staminali di cui oggi tanto si parla. Esse, infatti, sono inizialmente
indifferenziate nel significato e sono anche totipotenti perché capaci di assumere il significato specifico che
di volta in volta è necessario alla comunicazione. Qualcuno osserverà che
questo in teoria è possibile (partendo dall’idea di 'movimento', ad esempio, si
può agevolmente passare a quella di 'espansione, protuberanza, capo, monte,
estensione, distesa orizzontale, piano, diffusione, flusso, fiume, ecc') ma che
in pratica nessuno può confermarcelo, dato che attualmente tutte le lingue
posseggono un numero sovrabbondante di vocaboli specifici per indicare i
concetti magari più sottili e più diversi tra loro. Ma io mi permetto di far
notare che è proprio la toponomastica a darci un aiuto insostituibile per farci
capire che le cose sono andate proprio come ci indica la teoria secondo la
quale, ripeto, i concetti si diramano l’uno dall’altro anche perché, secondo
me, ogni radice ne possedeva uno all’origine talmente generico da poterli
contenere tutti, esattamente come si comportano le cellule staminali. Se
prendiamo l’oronimo Gran Sasso,
ad esempio, esso non è così trasparente come a tutti sembra, ingannati dall’apparente
dato di fatto che esso avrebbe sostituito la denominazione antica di Fiscellus
mons. A mettere una salutare pulce nell’orecchio bastano oronimi, dello
stesso gruppo del Gran Sasso, come Piano Grande,
relativo ad un costone ripidissimo come mostrano le ravvicinate curve di
livello della carta, dove, tra l’altro, non si scorge nemmeno un accenno di un
“piano” (questa è un’altra radice oronimica che conosco molto bene ma di cui
risparmio la storia al paziente lettore); come Montagna Grande che
certo ‘grande’ non è se paragonata al Gran Sasso vero e proprio; come Macchia Grande che
nel sostantivo richiama il Monte Le Macchie del
gruppo della Maiella dove si incontra anche un monte Macell-aro,
tutti facenti capo evidentemente a forme originarie simili ruotanti intorno ad
un archetipo *Magella, che i linguisti conoscono, e che ha dato nome
alla stessa Maiella. Ciò premesso, è inevitabile dedurre che il falso aggettivo
“gran, grande” fosse in realtà all’origine un termine per ‘monte’ con la stessa
radice greca che ho citato per Fonte
Ranë. Mi conforta in questo
giudizio la presenza nel gruppo del Gran Sasso di altri oronimi di chiara
ascendenza greca. Essi sono Pizzo Cefalone (cfr. greco kephalē ’capo,
testa’ che fa il paio secondo me con Pietra Cavalli) e
monte Corvo (cfr. greco koryphē o kόryphos ‘cima,
cocuzzolo’). Va da sé, comunque, che sia il concetto di ‘grande’ sia quello di
‘monte’, per quello che ho detto sulla genericità dei significati radicali, attingono
a quello più generico di 'espansione, estensione' e simili.
Chi tributa
dal profondo del cuore il proprio omaggio ai tre Santi Martiri o alla Madonna
della Vittoria non deve sentirsi sfiorare o offendere dalle mie considerazioni
perché esse, pur razionalizzando i dati della tradizione alla luce delle mie
competenze linguistiche e toponomastiche, del resto scarse, restano sempre e
solo una mia opinione. E poi dovrebbe essere, a mio avviso, molto bello
scoprire o riuscire ad intravedere che il culto dei santi del proprio paese va
a perdersi nella notte della preistoria e dell’umanità.
[1] Cfr.
Andrea Di Pietro, Agglomerazioni delle popolazioni attuali della diocesi dei
Marsi, Avezzano,1869, p.132.
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